Economia

Cura Italia e Decreto Liquidità alle prese con il rischio Utp

Cura Italia e Decreto Liquidità alle prese con il rischio Utp Cura Italia e Decreto Liquidità alle prese con il rischio Utp

Il Covid-19 nel suo drammatico profilo sanitario ed in quello economico, sicuramente preoccupante, indotto dai provvedimenti di contenimento, ha comportato un accrescimento del lessico del buon padre di famiglia e degli operatori economici. Nelle famiglie, smart working, e-learning, droplets e dispositivi di protezione individuali fanno parte del patrimonio linguistico dei suoi componenti. Nel mondo delle imprese e delle professioni parole come deroga, proroga, ristoro, lockdown e crediti deteriorati sono entrati prepotentemente a far parte del gergo gestionale. Fra questi il credito deteriorato ha assunto la valenza di una spada di Damocle. Una locuzione che pende minacciosa sulla testa di imprenditori e professionisti nel loro districarsi fra le norme di due decreti legge, il numero 18 del 17 marzo- “Decreto Cura Italia”– e il numero 23 dell’8 aprile – “Decreto Liquidità”.

I due provvedimenti, sotto il profilo economico, hanno obbiettivi diversi. Il primo è conservativo, il secondo proreattivo.  Il “Cura Italia” blocca la revoca di alcune tipologie di finanziamenti, proroga i prestiti e sospende il loro rimborso alle piccole e medie imprese. Impedisce alle banche, e a tutti gli enti finanziatori, d’interrompere i rapporti in essere e di provocare una stretta creditizia analoga a quelle del 2008-2009 e del 2011-2012. Offre come contropartita la garanzia statale sul 33% degli importi in essere. Il “Decreto Liquidità” prevede misure urgenti di accesso al credito, valide fino al 31 dicembre, anche queste con una garanzia statale modulata in modo decrescente all’aumentare degli importi delle nuove linee di credito concesse.

In tutti e due i decreti legge le provvidenze sono previste solo per operatori privi di posizioni deteriorate: in un caso anteriori alla data del decreto, nell’altro anteriori al 31 gennaio. Al di là della sovrapposizione dei termini, cosa non da poco e sicuramente superabile con prossimo terzo decreto, il focus può essere posto sulla qualità del creditore, una condizione questa necessaria per accedere alla garanzia. La garanzia, a differenza del credito deteriorato, viene specificata nel secondo decreto, nel quale si prevede che questa dovrà essere tale da proteggere, senza alcun dubbio, le banche erogatrici. Sarà infatti “a prima richiesta, esplicita, irrevocabile e conforme ai requisiti” della vigilanza prudenziale. Per il credito deteriorato si rinvia alla prassi bancaria e alla raccomandazione della Commissione europea sulla crisi d’impresa.

Nella regolamentazione prudenziale dell’attività bancaria, i crediti alla clientela sono classificati in prima istanza in crediti in bonis e in crediti deteriorati. Fra i primi vengono poste le posizioni nelle quali i termini contrattualmente assunti dal prenditore vengono puntualmente rispettati. Nei crediti deteriorati confluiscono quelle posizioni nelle quali si verificano inadempimenti contrattuali. In questa classe confluiscono tre diverse patologie: le sofferenze, le inadempienze probabili (Utp) e le scadute e sconfinanti deteriorate.

Nel dicembre dello scorso anno i crediti in bonis rappresentavano il 95,7% dei finanziamenti in essere del sistema bancario, il restante 4,3 % erano posizione deteriorate. In particolare, alle sofferenze è riconducibile l’1,7% del credito, alle inadempienze probabili il 2,4% e, infine, alle posizioni scadute e sconfinanti deteriorate lo 0,2%. I dati fotografano un sistema creditizio complessivamente sano, il punto terminale dei grandi miglioramenti nella qualità del credito realizzato nell’ultimo quinquennio.

A ben vedere i crediti anomali, nella loro triplice ripartizione, hanno una zona grigia difficile da illuminare relativa agli Utp. La posizione a sofferenza è facile da individuare, a questa vanno ricondotti tutti prenditori che si trovano in uno stato d’insolvenza anche se non dichiarato giudizialmente. La pronta segnalazione alla Centrale dei rischi di un ente creditizio fa sì che tutto il sistema dei finanziatori ne venga immediatamente a conoscenza. Il flusso di ritorno mensile reso accessibili a nuove banche, che potrebbero istruire ulteriori linee di credito, impedisce che queste vengano accordate.

Quanto alle posizioni scadute e sconfinanti deteriorate, queste non sono esplicitamente indicate nelle Centrale dei rischi. Possono comunque essere desunte da una puntuale analisi dei dati e della loro evoluzione. La Centrale dei rischi nulla ci dice sulle inadempienze probabili, né questa classificazione può essere desunta da una qualche elaborazione dei dati presenti nei prospetti. Vero è che le posizioni Utp vengono segnalate alla Banca d’Italia, poiché sono una voce specifica della matrice dei conti, ma del giudizio espresso da un singolo finanziatore non è reso partecipe il sistema. Questo modus operandi fa sì che operatori qualificati come Utp da una banca possano richiedere un nuovo finanziamento ad un altro ente creditizio ed eventualmente ottenerlo, ove questo lo reputi meritevole di assistenza finanziaria.

Fra le maglie del Decreto Liquidità è dunque possibile che passino operatori Utp e che alcuni di questi abbiano goduto delle disposizioni del Cura Italia. Non solo esiste il rischio che operatori sani non possano accedere alle provvidenze dei Decreti, poiché le risorse sono comunque scarse. Esiste un rischio ancor più grande che le posizioni Utp presenti antecedenti alle date  dei Decreti vadano ad accrescere il numero dei fallimenti che necessariamente si verificherà alla fine del periodo protetto.

 

Mauro Marconi e Fabiola Pietrella

 

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