Lavoro

Mezzogiorno d’Italia in pensione. Anche per colpa del nero

Al Sud ci sono più persone con l’assegno Inps che al lavoro. Ma così il welfare rischia di esplodere

Il Sud Italia ottiene un altro poco invidiabile primato economico: i pensionati nel Mezzogiorno hanno superato i cittadini che lavorano: 7,2 milioni le persone che incassano l’assegno mensile dell’Inps contro i 6,1 milioni che percepiscono uno stipendio. Alla base ci sono problemi strutturali irrisolti da decenni come la denatalità, l’invecchiamento della popolazione, lo spopolamento in favore del Nord ma anche il diffuso sommerso. In poche parole quelli che lavorano in nero e che, magari, fino a qualche mese fa incassavano anche il Reddito di Cittadinanza partorito dal governo di Giuseppe Conte.

Non va molto meglio a livello nazionale, dove si attestano a quota 23milioni sia i lavoratori attivi sia quelli in congedo. Insomma, l’Italia ha ormai tutto l’aspetto di una “Repubblica dei pensionati“. Ma questo equivale, spiega la Cgia di Mestre, a un campo minato per la produttività e il Pil, perchè di norma gli anziani consumano di meno. Senza contare che l’avanzare dell’età ingrossa il costo del welfare, con ricadute su un debito pubblico già elefantiaco. Quanto, invece, allo spaccato delle città, anche in questo caso i contesti urbani più squilibrati sono al Sud con Messina, Napoli e Lecce che si rivelano un paradiso per i pensionati; mentre quelli più virtuosi dal punto di visto lavorativo sono Milano, Roma e Brescia.

Ecco allora come provare a rimediare al problema, o almeno ridurlo:

  • far emergere i circa 3 milioni di lavoratori “invisibili” del sommerso ;
  • incentivare l’occupazione femminile;
  • varare una politica per la crescita demografica.

 

La somma delle pensioni nelle regioni e nelle aree territoriali non corrisponde al totale per la presenza di pensioni fuori dal territorio nazionale e di quelle non ripartibili
Nota alla tabella: la somma delle pensioni nelle regioni e nelle aree territoriali non
corrisponde al totale per la presenza di pensioni fuori dal territorio nazionale
e di quelle non ripartibili

 

 

Fino a qui tutto condivisibile e (abbastanza) scontato, ma poi arriva la bordata: gli artigiani di Mestre consigliano di allungare ulteriormente la permanenza sul lavoro perlomeno per chi svolge “un’attività impiegatizia o intellettuale”. Ora è vero che la matematica non è una opinione e che l’Inps rischia grosso sul bilancio, ma come si fa a pensare di tenere le persone al computer oltre i 66-67 anni di età quando a breve l’intelligenza artificiale rivoluzionerà proprio uffici e funzioni di back office? Senza contare che questo equivale a frenare il ricambio generazionale, ancora una volta a danno dei giovani che già scontano una disoccupazione a due cifre.

L’unica cosa da fare, piuttosto, è liberalizzare davvero il mercato del lavoro, seguendo la strada tracciata dalla Legge Biagi e smetterla, tra sindacati e partiti di sinistra, di andare in piazza in modo strumentale con scioperi a catena contro una manovra che dedica tutte le poche risorse disponibili ai redditi più bassi. Tutto questo anche a costi di penalizzare la classe media strangolata dalle tasse, cioè l’elettore tipico del centrodestra.

L’Inps stima che nell’arco di dieci anni il nostro Paese dovrà sostituire un terzo dei dipendenti pubblici. Iniziamo da qui per svecchiare il Paese, ad oggi solo 5 addetti pubblici su 10 hanno meno di 40 anno, per dare lavoro ai ragazzi più qualificati e aiutare la burocrazia a compiere quel salto tecnologico senza il quale presto non saremo più competitivi.

 

 

Iscrivi al canale whatsapp di nicolaporro.it

LA RIPARTENZA SI AVVICINA!

www.nicolaporro.it vorrebbe inviarti notifiche push per tenerti aggiornato sugli ultimi articoli