Economia

Ecco la trappola nascosta nel cuneo fiscale. Che diventa un disincentivo al lavoro

Basta guadagnare un solo euro in più per perdere fino 1.100 euro di sgravio. E intanto il Pil cresce pochissimo

Basta un solo euro di troppo e scatta la trappola. Il meccanismo del taglio del cuneo fiscale, voluto in manovra per sostenere i redditi fino a 35mila euro lordi, è stato concepito in modo tale che chi supera anche di un soffio tale soglia, ne perde ogni beneficio e si ritrova con in tasca 1.100 euro in meno.

A fare i conti sono stati i tecnici dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio mettendo in guardia, durante l’audizione in Parlamento, che se tale situazione persistesse, sarebbe un “disincentivo” al lavoro e finirebbe per complicare di molto anche i prossimi rinnovi contrattuali. E in Italia sono numerose le categorie con contratti scaduti.

Il paradosso del cuneo è nel meccanismo scelto. L’erario concede infatti lo sgravio massimo, pari a 7 punti percentuali, solo a chi percepisce una retribuzione annua lorda non superiore ai 25mila euro (più o meno 1.900 euro lordi mensili, già considerata la quota parte della tredicesima). Subito dopo il fisco lima il beneficio a 6 punti percentuali, sempre che il contribuente non oltrepassi i 35mila euro annui (circa 2.600 euro lordi in busta). A conti fatti, quindi, chi sfora i il tetto dei 25mila euro solo dell’equivalente di un caffè, appunto un euro, viene “premiato” dallo Stato sottraendogli 150 euro di sconti fiscali e appunto 1.100 euro di benefici se viola anche il tetto dei 35mila euro.

In particolare, la manovra strizza l’occhio a giovani under 35 e operai, riservandogli uno sconto medio stimato del 3,4% dell’imponibile. A patto però, evidentemente, che non facciano troppi straordinari o non si ingegnino eccessivamente a integrare in modo regolare lo stipendio, dichiarando al fisco tutto quanto incassano con i lavoretti e pagando le tasse. Perchè altrimenti, superati i 25mila o peggio i 35mila euro di reddito, scatta la trappola del cuneo. E perdono i vantaggi del fisco più leggero.

Un pugno nello stomaco a chi si rimbocca le maniche, ma anche la conferma dello strabismo insito nella legge di bilancio che se da un lato, come stima Bankitalia, lascia 600 euro in più in tasca a 3 famiglie su quattro, dall’altro poco o nulla fa per la classe media dissanguata dalle tasse. La stessa che è, però, da sempre chiamata a sostenere i consumi del Paese e quindi può rilanciare un Pil ormai costretto dai rialzi ai tassi della Bce a una crescita frazionale.

Proprio ieri la Commissione europea ha assegnato un modesto +0,7% alla nostra economia, compressa come quella del vecchio continente dagli ossessivi rialzi ai tassi di interesse con cui la Bce di Christine Lagarde sta combattendo l’inflazione. La bolla dei prezzi, finalmente, si è sgonfiata: +1,7% il dato tendenziale definitivo di ottobre e -0,2% quello congiunturale. Ma difficilmente i falchi del rigore di Bruxelles concederanno qualcosa prima della metà del prossimo anno in termini di riduzione del costo del denaro.

Giancarlo Giorgetti ha difeso la manovra ribadendo, pur nella severità dei vincoli di bilancio, la priorità di difendere i redditi più bassi che faticano a spingere il carrello della spesa fino alla cassa del supermercato. Parole, quelle del ministro, che sbugiardano la sinistra decisa a tornare in piazza domani a scioperare, capitanata dalla Cgil di Maurizio Landini.

Il taglio del cuneo però costa allo Stato e quindi a tutti noi contribuenti 10 miliardi. Se è vero che avere un Pil in crescita frazionale è sempre meglio che essere in recessione come la Germania, il ministro sa bene che questo non è abbastanza per reggere ancora a lungo il peso di un debito pubblico giunto a 2.800 miliardi, anche in vista del ritorno del Patto di Stabilità dal gennaio prossimo.

 

 

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