Risparmi e investimenti

L’inflazione non conta per chi investe bene e sui tempi lunghi

Quando mio fratello ed io eravamo piccoli non ci piacevano i pasticcini “africani” perché avevano dentro un po’ di liquore. La domenica si potevano avere due pasticcini, non di più. Mio padre un giorno decretò: “L’africano non conta” e, da allora, se ne potevano mangiare in sovrannumero a piacimento. Mio fratello, prudente e timoroso, decideva sui tempi brevi e non si arrischiò mai. Io provai e col tempo imparai a farmeli piacere. Questa stessa differenza la ritroviamo oggi con l’inflazione che non piace a nessuno.

Quando, per la prima volta in vita mia, andai a lungo a New York sentii il futuro presidente Ronald Reagan chiedere agli americani: “La vostra prima colazione costa di più di quattro anni fa?!”. Vinse le elezioni. Erano tempi di inflazione, anche in Italia. Tutti si accorgono dell’inflazione e giustamente la temono. Ed è una storia bella, semplice, drammatica, facile da raccontare: tutti si appassionano.

Quando passammo all’euro tutti i prezzi si staccarono per poco tempo dalle cose e quando si riappiccicarono si diceva che con la nuova valuta si comprava l’equivalente delle mille lire di un tempo: palesemente falso, ma era una storia che circolava e piaceva o, meglio, angustiava.

In effetti se disponete solo di entrate fisse, stipendio o pensione, e se non siete molto ricco, vi accorgete subito dell’inflazione, soprattutto sui beni che comprate spesso, al limite tutti i giorni. E sono per lo più proprio i beni di prima necessità, quelli di cui non si può fare a meno. Ma se siete un investitore, se cioè siete riuscito sistematicamente a spendere meno di quanto guadagnate anno dopo anno, che cosa dovete fare?

In questo caso non importa tanto quel che risparmiate, anche se ovviamente meno spese si traducono in più investimenti. Quello che conta soprattutto è il passare del tempo accompagnato da pigrizia: più aspettate senza fare nulla, meglio è, a patto che…, ed è come riempite i tre puntini che è cruciale.

Guardate la semplice figura che mostra il rendimento dell’indice S&P500, quello delle più importanti 500 società statunitensi, a prezzi nominali, senza cioè l’inflazione, e a prezzi reali, dopo aver sottratto l’inflazione. Ecco il sito del New York Times con la figura:

New York Times

 

Le due curve della figura, a partire dal 1995, vanno in parallelo solo che quella più scura, con l’inflazione sottratta, è in media del 3% più bassa. E tuttavia l’entità media risultante dalla sottrazione nell’ultimo decennio era molto più bassa. Ragion per cui adesso, che è balzata al 5% circa negli USA, l’incremento improvviso fa molta impressione. La benzina in due mesi ha avuto un aumento del 65% alla pompa.

Del rapido incremento nel tempo dei prezzi dei beni di consumo le persone si accorgono fin troppo bene e hanno paura. Un timore e un assillo assai sensati e fondati se le loro entrate non compensano l’inflazione, come succede mediamente da quando non c’è più la cosiddetta scala mobile (che i più giovani forse non ricorderanno: guardare su Google!).

Per gli investitori, invece, il quadro è meno preoccupante, come mostra la figura. Se poi si tiene conto che nel 1990 il 90% della capitalizzazione delle società quotate sullo S&P500 vendeva beni e servizi tangibili mentre ora il rapporto è il contrario (10% tangibili e 90% immateriali), allora gli effetti dell’inflazione sugli investimenti sono facili da eliminare. Basta investire i soldi sul Nasdaq e non fare nulla: trend is your friend, ma solo se è lungo (cfr. mio articolo del 7 aprile 2020 su questo sito).

Vi succederà come capitò a me con il pasticcino africano, anche se la maggioranza dei risparmiatori si comporta purtroppo come mio fratello: continua timorosa con le scelte del passato. Pensate che in questi giorni i risparmiatori retail hanno comprato il 67% dei 3,27 miliardi di BTp messi in vendita con la quarta tranche di Futura. In questo caso, per un curioso paradosso, molti investitori sembrano non temere gli effetti dell’inflazione. Secondo i dati odierni chi investe oggi 100 euro in italici titoli di stato si ritroverà, una volta sottratta l’inflazione, l’equivalente di 92 euro tra 5 anni e di 90 euro tra 10 anni (cfr. Sole 24 Ore, 13-11-21, p. 5).

Molti si stupiscono di queste scelte forse poco meditate, ma io mi stupisco dello stupore. Ho visto che una buona percentuale dei miei concittadini si è accorta dell’efficacia dei vaccini soltanto quando, con il 90% degli italiani vaccinati, il restante 10% costituisce oltre il 90% dei ricoverati nei reparti di terapia intensiva. Non aveva capito come si calcola l’efficacia di un vaccino e probabilmente non lo ha capito neppure oggi. Ma ormai quasi tutti si sono arresi all’evidenza schiacciante dei dati.

E quindi non mi stupisco nemmeno del fatto che, secondo i dati di questo biennio in cui le tecnologie hanno trionfato nel lavoro e nel tempo libero, ben pochi hanno badato al mio blog del 7 aprile 2020 (era gratuito, e forse proprio per questo è stato trascurato: sembra che l’italiano medio prediliga i consigli errati se costosi). Chi però se ne è accorto, si è accorto anche che l’inflazione crescente ha solo sfiorato in modi impercettibili i rendimenti del suo investimento.

Spero inoltre che costui abbia cambiato stabilmente i suoi gusti, come successe a me con i pasticcini africani che ancor oggi prediligo. La sovra-performance del Nasdaq rispetto allo S&P 500 sui tempi lunghi è ben maggiore di quanto l’inflazione indicata nella figura non abbia intaccato i rendimenti dello S&P500.

Ecco una forma di investimento che finirà per piacervi a patto che abbiate pazienza, come con i pasticcini africani, e non facciate nulla (soprattutto quando i mercati statunitensi calano: vedi la figura). Potete comunque continuare a partecipare ai resoconti drammatici sui timori per l’inflazione.

Basta che personalmente siate pigri, anzi del tutto inerti, con i vostri investimenti, al limite pensate che non vi importano (cfr. il mio blog del 23 agosto). Se non ci badate, ci penserà per conto suo il Nasdaq, come ha fatto da quando è nato, il 5 febbraio 1971. Quando, con il Nasdaq ai primi vagiti, la mia famiglia comprò casa a Venezia l’indice valeva 90, ma questa è un’altra storia (vedi la fine del libro che ho scritto con Leopoldo Gasbarro, che qui gentilmente mi ospita).

Paolo Legrenzi, 14/11/2021

 

 

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