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Edilizia, il superbonus sarebbe “buono” se…

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Superbonus ottimo, se non frenato

Il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro ha ideato una misura potenzialmente molto efficace, il cosiddetto “superbonus del 110%” per gli interventi di efficientamento energetico e miglioramento sismico degli edifici, inserito nel “decreto rilancio”. I punti di forza sono l’elevata percentuale di detrazione (che ha lo scopo di coprire il più possibile le spese della cessione del credito di imposta corrispondente alla detrazione) e un’ampia possibilità di trasformazione della detrazione in sconto sui corrispettivi nonché – appunto – in crediti di imposta. In entrambe le ipotesi con possibilità di successiva cessione ad altri soggetti (tanto che Fabio Dragoni, su La Verità, è arrivato a parlare di “moneta parallela”). Perché questa idea si trasformi nel “bazooka” che si propone di essere, però, occorre che si realizzino una serie di condizioni. Vediamole.

I tempi

Il bonus può essere utilizzato per le spese sostenute dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021. Sembra un periodo molto esteso ma, a ben vedere, non è così. I lavori interessati sono per la maggior parte di grande rilievo e quindi richiedono tempi di programmazione non brevi. In più, essi riguardano essenzialmente i condomini, i cui tempi decisionali sono evidentemente ben superiori rispetto a quelli di un singolo (e si deve aggiungere che solo da questa settimana le assemblee hanno ottenuto il diritto di riunirsi, dopo il divieto che era stato disposto dal Governo: si ripartirà prevedibilmente con lentezza e con le questioni arretrate da sbrigare).

Ma non basta. La norma del “decreto rilancio” – che, pur se in vigore, sconta una certa aleatorietà per il fatto che è soggetta a modifiche in Parlamento – non sarà operativa finché non verranno emanati i diversi provvedimenti attuativi previsti, che riguardano aspetti delicati del nuovo incentivo: vanno fatti in fretta (oltre che bene). C’è poi da mettere in conto una maggiore lentezza nel rapporto dei professionisti con gli uffici comunali, considerata l’assenza – o il lavoro a distanza – di molti impiegati. Per poter ottenere l’effetto bazooka, dunque, la scelta giusta sarebbe quella di estendere la durata del “superbonus” a tutto il 2022. Perché non prevederla subito, in sede di conversione del decreto? Si darebbero certezze e tranquillità a tanti cittadini.

I paletti

Il decreto condiziona l’utilizzo della misura al verificarsi di diversi presupposti. Alcuni sono ben comprensibili, per carità, si tratta pur sempre di un’agevolazione eccezionale, ed è normale – ad esempio – che il Governo indichi espressamente gli interventi che intende incentivare. Altri sono ragionevoli in linea di principio, ma rischiano, se mal applicati, di rappresentare un ostacolo per la riuscita dell’operazione: si pensi all’obbligo del “visto di conformità dei dati relativi alla documentazione che attesta la sussistenza dei presupposti che danno diritto alla detrazione d’imposta”, da farsi rilasciare da parte di soggetti come commercialisti e Centri di assistenza fiscale, o a quello di far asseverare da un professionista la congruità delle spese sostenute in relazione agli interventi agevolati, quale condizione per trasformare la detrazione in sconto sul corrispettivo o in credito di imposta. Se, attraverso i provvedimenti attuativi, si fornirà ai professionisti interessati un quadro di riferimento chiaro nel quale operare, le cose procederanno spedite.

Le “seconde case”

Altre limitazioni, invece, non sono condivisibili neanche in principio. È il caso dell’impossibilità di avvalersi del superbonus in relazione ad interventi di efficientamento energetico realizzati su “edifici unifamiliari diversi da quello adibito ad abitazione principale”. Espressione complessa che i giornali sono riusciti a peggiorare traducendola con “seconde case” o “ville”, ma che in realtà ricomprende un’infinità di abitazioni della natura più diversa: dalla casa ereditata nel borgo sperduto a quella data in affitto al di fuori di un condominio.

Per fortuna si è evitato il peggio. Nell’ultima bozza prima del testo definitivo la negazione del superbonus riguardava anche gli interventi di miglioramento sismico: con il paradossale effetto di impedire l’utilizzo di questa importante agevolazione per gli immobili che più la necessitano, a cominciare dalle abitazioni della fascia appenninica, che in moltissimi casi non sono “prime case”.

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