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Esclusivo: viaggio tra i soldati che hanno sconfitto l’Isis - Quarta parte

Il sogno di un Kurdistan indipendente

Resta il fatto che nonostante la distinzione in decine di tribù, in due fazioni politiche (i Barzani e i Talabani) che si dividono il territorio e che si sono addirittura scontrate in una guerra civile, le tre diverse lingue parlate, i curdi qui hanno saputo cooperare efficacemente per conquistarsi un’autonomia, ridurre al minimo gli attentati terroristici e negoziare una quota dei proventi del petrolio (che ora non viene pagata…) con il governo centrale iracheno di Baghdad. Certo, la struttura del clan pare ora favorire nepotismo e corruzione, ma in generale il benessere che si avverte ad Erbil o a Sulaimaniya fa pensare che comunque la popolazione non è stata completamente esclusa dalla relativa ricchezza derivata dal petrolio.

Nelle case da té disseminate ovunque e sempre affollate, gli uomini con i loro pantaloni larghi, la cintura di stoffa intrecciata e il turbante, giocano a dama, parlano e bevono un tè nero fortissimo, mentre ragazzi dai capelli tagliati come calciatori non alzano lo sguardo dai loro cellulari. Le donne appaiono solo nei bazaar, spesso nascoste dietro i burka neri. I vecchi sorridono, fieri e curiosi, con la serenità di chi si gode la quotidianità e la pace conquistata. Sì, perché qui nonostante i campi profughi, i posti di blocco continui, le cellule terroristiche che probabilmente sono solo dormienti, non si avvertono le tensioni del resto del Paese – come sempre la realtà è meno drammatica di come ce la trasmettono i media, che con la loro ricerca della spettacolarità non fanno altro che alimentare la paura del diverso. Non riusciamo a comunicare molto, parlano kurmanji, ma sento ricorrere sempre la parola Kurdistan: pronunciata enfaticamente, come se fosse la fonte stessa della loro libertà e della loro attesa di prosperità.

Luisa Bianchi, 5 luglio 2021

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