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Fedez, il guardiano del maoismo Lgbt

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Voi ridete, intanto Fedez sta diventando sempre di più l’intellettuale simbolo della contemporaneità, detto senza alcuna ironia.

Sì, perché in queste ore convulse di una nazione divisa tra il signor Ferragni e il Politburo della Rai (quindi di una nazione senza speranza, evidentemente), tutti si accapigliano sui particolari, e nessuno guarda la cornice del quadro. I particolari sono il rapper improbabile martire di un dissenso immaginario, il Pd e i Cinque Stelle che invocano le dimissioni di vertici Rai in quota Pd e Cinque Stelle, la cagnara Twitter, Letta che grida “Grazie Fedez!” senza provare un minimo orrore di sé, i sovranisti all’amatriciana che replicano i tic dell’avversario, e ricordano al cantante un testo giovanile in odor di omofobia con annessa presa per i fondelli dell’omosessuale Tiziano Ferro…

Da Gramsci a Fedez: ecco la Nuova Sinistra 5.0

È un grande circo in cui ciascuno ha la sua parte in commedia, montato ormai programmaticamente fuori dalla realtà. La realtà è che Federico Leonardo Lucia (è il nome non d’arte di Fedez, ammesso che costui c’entri qualcosa con la suddetta) ha squarciato il velo del conformismo progressista italico, ha chiarito definitivamente e per tutti cosa sia la Nuova Sinistra 5.0. E lo ha fatto impossessandosi del rito per eccellenza della vecchia sinistra, il Concertone del Primo Maggio un tempo monopolio di pugni chiusi, rivendicazioni sindacali ad alto tasso di socialismo (ir)reale e Berlinguer ti voglio bene, e decostruendolo alla radice in nome delle parole d’ordine della nuova ideologia dominante. Non più il marxismo classico, ma il fanatismo Politicamente Corretto. Fedez è un punto d’arrivo, porta alle estreme conseguenze (probabilmente senza saperlo, è un’icona malgré lui) il cambio di paradigma introiettato dai compagni. Con una battuta (ma nemmeno troppo): per loro non si tratta più di superare i rapporti borghesi di produzione, ma i rapporti eterosessuali di riproduzione.

Più seriamente: l’ideologia di riferimento, transitata da Gramsci a Fedez, è quella arcobaleno, con tutto il suo vittimismo preconfezionato su misura attorno a qualsiasi “minoranza” (cultura del piagnisteo, la chiamava il grande anarco-conservatore Robert Hughes), con tutta l’enfasi liberticida sui doveri collettivi piuttosto che sui diritti individuali, con quella forma postmoderna di odio di classe che è la Cancel Culture. Di cui il ddl Zan decantato dal nostro è un caso di scuola: non c’entra alcunché con i diritti delle persone omosessuali né con la lotta alla discriminazione (il Codice prevede già aggravanti in tal senso), ma esplicita ormai l’obiettivo, perseguire il dissenso. Tanto che il simpatico dispositivo prevede tra le altre oscenità la possibilità, per il condannato di un reato d’opinione, di scontare la pena svolgendo lavori socialmente utili presso associazioni Lgbt. Pura rieducazione maoista, con la differenza che il bastone non è più agitato dalle Guardie del Popolo, ma dai Guardiani dell’Inclusione.

Alla Festa dei Lavoratori nessun parla (più) di lavoro

Facendo della legge Zan e dell’autoritarismo pride la bussola del Primo Maggio, Fedez realizza il controsenso finale: nel giorno della Festa dei Lavoratori, il Lavoro non importa più a nessuno dei suoi officianti. È diventato qualcosa di volgare, rimanda a un’umanità sudaticcia e che magari non si è nemmeno letta il ddl gay-friendly, è al massimo materia per quel buzzurro di Salvini quando ciancia di “riaperture” (sempre “irresponsabili”, ha ribadito ieri il Capo-Sardina Mattia Santori, un Fedez che non ce l’ha fatta). Sarebbe sconveniente, nel Neo-Primo Maggio politicamente corretto, ricordare le 300mila imprese polverizzate nel 2020, i 456mila posti di lavoro perduti (solo un’anticipaziome rispetto a quel che accadrà quando cesserà l’artificio dirigista del blocco dei licenziamenti), la cassa integrazione non arrivata, le serrande che non si rialzano e le famiglie che si sono giocate i risparmi di una vita.

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