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I due partiti già sconfitti da Draghi

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Nella partita del governo Draghi perdono un po’ tutti, e quindi forse nessuno. O meglio, si spera che vinca l’Italia. Ci conforta però che due sicuri e netti perdenti ci siano già: uno forse ancora da verificare, e cioè in prospettiva, ed è il cosiddetto “partito dei giudici”, i giustizialisti alla Travaglio-Bonafede per intenderci; l’altro, già sicuro ed evidente, è il partito degli intellettuali di sinistra, quelli che fanno tendenza e piacciono alla gente che piace. Diciamo che in genere, sulla lunga distanza (magra consolazione!), non ne hanno mai azzeccato o vinta una.

Questa volta però il ko sembra definitivo. E il silenzio assordante dei Saviano, Murgia, Urbinati, Di Cesare (ma parleranno presto statene certi!), è a dir poco significativo. L’intellettuale tipo, come è noto, non può vivere senza un nemico da additare al pubblico ludibrio e rispetto al quale ergersi a “moralmente superiore”. Con esso non vuole confrontarsi sulle idee, o con gli interessi concreti che maturano nella storia e nella lotta politica, ma vuole semplicemente eliminarlo dall’agone pubblico, non dargli nemmeno le credenziali per accedervi. Egli chiama questo nemico “fascista”, dimenticando che quel fenomeno storico è bello e sepolto da più di settanta anni e che quella dell’“emergenza democratica” in Italia è stata una favola bella e buona su cui loro hanno campato per tanti anni. A forza di gridare contro i “pieni poteri”, o l’”uomo solo al comando”, a forza di esaltare acriticamente la “Costituzione più bella del mondo”, questi intellettuali, tranne poche eccezioni (penso a Giorgio Agamben), si sono non solo trovati impreparati e silenti ma hanno addirittura avallato quei poteri e quella insensibilità per le forme democratiche quando si sono appalesate davvero e dalle loro parti.

Emblematico il manifesto che molti di loro firmarono a difesa del premier uscente Giuseppe Conte e che uscì il primo maggio dell’anno scorso su Il Manifesto. Che la gestione della pandemia fosse fatta al limite e probabilmente oltre la costituzionalità, per loro, per queste vestali della Costituzione, per la prima volta non era un problema. L’importante era che il governo Conte tenesse a freno il “fascista” di turno, che era diventato Matteo Salvini. Ora, il “razzista” Salvini è nella maggioranza di governo, a cui dà quell’impronta di pragmatismo e sviluppismo che è proprio della sua Lega.

E nel governo Draghi c’è anche l’altro “fascista”, quello precedente, Silvio Berlusconi. Che marca la sua presenza con due donne ministro su tre, mentre i “compagni” presentano una squadra tutta al maschile. Chi si ricorda più delle infamanti accuse di “sessismo” rivoltegli da Sabina Guzzanti in Piazza Navona venti anni fa?

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