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I politici fanno i medici, i medici fanno i politici

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Da quando l’emergenza pandemica ha fatto irruzione nella nostra quotidianità, alla figura dell’esperto, sia esso virologo, infettivologo o medico tout court, è stata riconosciuta una sovraesposizione mediatica assillante con un ritmo routinario che non ha precedenti. Legittima la voce dei tecnici del virus per decifrare l’evoluzione epidemiologica, semplificandone l’accessibilità conoscitiva al grande pubblico, ma quando le dichiarazioni degli specialisti esondano dalle loro competenze, per indirizzare le scelte politiche, assistiamo ad una commistione di ruoli che genera spaesamento.

La politica del governo sembra accettare tale sovvertimento di funzioni, tanto da indossare il camice medico per distribuire ricette sanitarie sotto forma di moniti orientati alla prudenza. Mentre i membri del Cts intervengono su materie come la scuola che dovrebbero essere appannaggio esclusivo delle scelte politiche. Un’esemplificazione di questa permuta di mansioni è rintracciabile dall’intervista rilasciata al Corriere della Sera dal responsabile del Cts, Agostino Miozzo, che dichiara: «Le scuole devono, non possono, ma devono, restare aperte».

Miozzo nell’intervista rivolge una pungente critica al governo per avere omesso l’applicazione dei suggerimenti del Cts al fine di mettere in sicurezza l’esercizio didattico: «Bisognerebbe rileggere quello che avevamo suggerito per far sì che le scuole aperte non avessero particolare impatto sulla curva: riorganizzazione del tpl, scaglionamento degli orari, monitoraggio sanitario. Siamo rimasti inascoltati e i ragazzi pagheranno gravi conseguenze».

La politica, che dovrebbe operare per recuperare l’agibilità degli spazi educativi, è stata spodestata nella sua missione prioritaria di organizzare la speranza della ripresa con i tecnici che, nella assidua visibilità mediatica, hanno raggiunto una tale popolarità da renderli fonte di suggestioni non solo in ambito sanitario ma anche politico.

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