Politica

I sindacalisti tornino a lavorare

I sindacati stanno peggio dei politici. Ma trovano sempre un posto al tavolo del governo

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Rieccoli. Forse Mario Draghi voleva scusarsi di essersi alzato dal tavolo qualche settimana fa, quando si parlava di pensioni. Non è così. Si consuma il solito rituale tra professionisti della rappresentanza e il tecnocrate di turno. Draghi pur non essendo mai stato eletto, oggi rappresenta, per mandato indiretto delle forze politiche che lo sostengono, l’80% degli italiani. Landini, Sbarra e Bombardieri invece? Rappresentano i lavoratori italiani. Quanti? Secondo gli ultimi dati disponibili forniti dalle tre confederazioni Cgil, Cisl e Uil, non sono più di 11,5 milioni i tesserati. Compresi i circa sei milioni di pensionati. Meno di sei milioni di lavoratori su una platea di circa 24 milioni (tra dipendenti e autonomi).

Prendendo per buoni i dati – un’indagine terza, nemmeno da parte del Cnel non è mai stata prodotta – forniti dalle tre principali organizzazioni la rappresentanza sindacale sta peggio di quella politica. Se alle ultime elezioni amministrative ci siamo – giustamente – stracciati le vesti per un’affluenza del 50% alle urne, nel mondo sindacale Cgil-Cisl-Uil possono contare su una rappresentatività al di sotto del 25%.

Ormai l’Ugl dichiara più iscritti della Uil, perché non fa parte del tavolo di Draghi? Il terreno della rappresentanza è scivoloso, ed è praticabile solo dai professionisti. Politici o sindacalisti, su questo piano si equivalgono, raramente ritornano a prendere contatto con il mondo reale che dicono di rappresentare. Landini e Sbarra almeno dalla metà degli anni Ottanta svolgono attività sindacale a tempo pieno. I metalmeccanici o i braccianti agricoli li vedono da più di trent’anni solo come area del consenso. Intendiamoci, attività nobile e degna di considerazione. Ma così come ai politici indirizziamo critiche di essere distaccati dal mondo reale, loro – i sindacalisti a tempo pieno – il “distacco” ce l’hanno per contratto.

Politici e sindacalisti hanno sempre più l’aria di professionisti della rappresentanza, a prescindere dall’entità dei rappresentati. Ogni tanto ci stupiamo che i nostri politici annuncino di andarsene in Africa – Veltroni e Prodi – dopo un insuccesso elettorale, o dichiarino di volersi dedicare all’attività professionale e di business – Enrico Letta – in esili dorati parigini: poi ritornano. Theresa May o David Cameron dopo il loro insuccesso si sono ritirati a vita privata. Gli stessi presidenti Usa, una volta lasciata la Casa Bianca, entrano nella “galleria degli antichi” dei rispettivi partiti, dedicandosi a remunerate attività di conferenziere o di advisor privati.

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