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Il Cts getta la maschera: fine pena mai

Mentre il governo medita su come proporci l’ennesima stretta, i tecnici ministeriali raccolgono il testimone di una delle tattiche più gettonate da Giuseppe Conte e soci: il gioco della carota e dei conigli. I conigli, ovviamente, siamo noi. La carota è la libertà. Il trucco è semplice: ce la sventolano sotto al naso, evocando la “luce in fondo al tunnel”, ma al contempo, la spostano sempre un po’ più in là. Chiudere a ottobre per riaprire a Natale, chiudere a Natale per riaprire a gennaio, chiudere a gennaio “per non disperdere i sacrifici”, chiudere a febbraio per riaprire a Pasqua, chiudere fino a Pasqua per vaccinare.

Leggete cos’ha detto Gianni Rezza, capo dell’Istituto superiore di sanità, membro del Cts: “Abbiamo di recente messo a punto con l’Iss e la Fondazione Bruno Kessler un modello matematico per capire quando potremo tornare a una pseudo normalità. Se assumiamo che il vaccino protegga dall’infezione e che la protezione duri almeno per 2 anni, vaccinando 240mila persone al giorno riusciremo in 7-15 mesi a tornare alla normalità”.

I nostri esperti hanno dunque elaborato un complesso sistema di calcolo, scoprendo che, al ritmo di 240mila iniezioni, per immunizzare 60 milioni di italiani serviranno 8 mesi. Non ci sarebbe arrivato nessuno. Questo conteggio si basa su una stima realistica: 240mila punturine al dì, ben lontane dalla carota delle 500mila-700mila, cui ci dicono che ambirebbe la struttura commissariale riadattata da Mario Draghi. Ma la valutazione si basa anche su altri due parametri, specifica Rezza: i vaccini devono bloccare la trasmissione del virus e la protezione che offrono deve durare 2 anni. In caso contrario, se andiamo troppo lenti, prima di aver raggiunto l’immunità di gregge, dovremmo ricominciare a vaccinare chi ha ricevuto le dosi mesi prima.

Peccato che, ad oggi, non ci siano certezze su nessuno dei due indicatori. Per quanto riguarda le potenziali reinfezioni, bisogna dire che i dati di Gran Bretagna e Israele paiono essere incoraggianti, perché tra i vaccinati è stato registrato un crollo delle ospedalizzazioni e pure del numero di casi. Quanto alla durata della protezione, invece, l’unico orizzonte finora documentabile oscilla tra i 5 e gli 8 mesi.

Torneremo alla “pseudo normalità”…

Ma non finisce qui. Attenzione, infatti, alla parola usata da Rezza: “pseudo normalità”. Il supertecnico del Cts ci dice che serviranno almeno 7 mesi – ma forse il doppio – e solo qualora i vaccini non solo blocchino le infezioni, ma proteggano addirittura per 2 anni, per tornare non alla “normalità”, bensì a una condizione che in qualche modo le somigli. Cosa sarebbe questa “pseudo normalità”, tuttavia, Rezza non lo chiarisce. Possiamo presumere che sia una situazione in cui cessino i divieti di spostamento e il coprifuoco, ma permangano gli obblighi di mascherine e distanziamento, con tutto ciò che ne consegue per gli esercizi pubblici. I quali, a questo punto, falliranno ben prima che arrivi, Rezza permettendo, la vera “normalità”. Poco male: pare che le nostre classi dirigenti siano disposte a veder sostituite da Amazon le piccole e medie imprese morenti.

Perché non vogliono ridarci la libertà

Viene da chiedersi, come i prigionieri dei campi di concentramento di Primo Levi: warum? Perché? Per quale ragione questi personaggi premono per il “fine pena mai”? Perché pare non vogliano accontentarsi che, grazie ai vaccini, la gente non vada più in ospedale e, al contrario, mirano a eradicare il virus che non sono stati capaci di estirpare con il tracciamento? Perché si erano preoccupati, in quel caso, della nostra privacy, però se ne fottono della nostra libertà e insistono per un eterno lockdown?

Le risposte possono essere due.

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