Politica

“Il manganello me l’hanno infilato in borsa”. Ma papà Salis non diceva il contrario?

L’eurodeputata di Avs presenta la sua fatica letteraria che Silvio Pellico scansete. Ma c’è un dettaglio sula “vipera” che non torna…

Ilaria salis Roberto Salis

Fermi tutti: è partito il battage della influencer Ilaler Salis per l’uscita del suo atteso, con rassegnazione, libro “Vipera” e questo accanimento terapeutico, di lei verso di noi, merita un ritorno, questa messe di legnate mediatiche che ci attendono da qui all’eternità reclama ulteriori considerazioni per la semplice ragione che, se non lo facciamo noialtri, difficilmente si troverà più che la processione della madonna del manganello, nostra signora delle occupazioni.

E il manganello c’entra, anzi è proprio l’elemento fondativo della campagna pubblicitaria, ma andiamo con ordine (nuovo, quello di Gramsci). Compare Ilaler in modalità Ferragni, per una volta niente stracci e top, Askatasuna-style, ma una più sobria camicetta a motivi floreali stinti, perché alla Feltrinelli sono dei borghesucci perbenisti e conformoni, e anche abbastanza vittimari. L’eloquio è come sempre aleatorio, la cadenza da influencer brianzola, l’approccio capitalista strabordante, la gestualità misurata, si vede, si percepisce che il clippino pare essere realizzato con estrema attenzione dai creativi della casa editrice: Salis così entra nel meccanismo, dentro la sovrastruttura, non più la barricadera da centro sociale occupato e soprattutto occupante ma una (quasi) sofisticata semiprofessionista che si appresta a vendere il libro, una che ai mila euro di bonifico mensile della Bce (orrore, la banca della finanza globalizzata), affianca il bonus librario e studia da comunicatrice: immaginiamo sarà inevitabile il passaggio a “Che tempo che fa”, poi in tutti i telesalotti di sinistra, in politica no perché c’è già ma la strategia è evidente, costruirsi un futuro partendo dal presente “che le ha cambiato la vita”. Salis pratica l’antica arte del vittimismo e lo fa con un occhio alle prospettive: non c’è mercadora più mercadora di una antagonista quando diventa mercadora. Ilaler potrebbe rievocare il mitico ’68 in chiave egocommerciale: non è che un debutto, io sono qui per restare.

E allora, sotto con le memorie, che, in mancanza di meglio, spingono sempre su quel tasto: l’arresto, ingiusto, la carcerazione, barbarica, le mie prigioni, pellichesche, gli stenti, da contessa di Montecristo, anzi da Abate Faria, il riscatto elettorale, eccetera. Senonché c’è qualcosa che si sente che manca, per dirla con Battisti. La coerenza. La verità. Sì, c’è qualcosa che sfugge, che non torna dall’epicizzazione riflessa e qui il legno torna fuori di prepotenza: Ilaler rievoca la sua cattura, accusa senza mezzi termini l’Ovra ungherese di averla incastrata, di aver messo in mezzo le tipiche carognate della repressione, “Vipera… Vipera… credevo parlassero di me in termini dispregiativi, invece poi con l’interprete ho scoperto che è il nome del bastone telescopico, “quell’arnese che avevano pensato bene di infilarmi nel marsupio mentre ero ammanettata di fianco al taxi”.

Un momento, un momento, ho anch’io qualche argomento: qui, tanto per cominciare, la denuncia è gravissima: una eurodeputata, roba nostra purtroppo, una robina hood di case al contrario, sottratte ai poveri per darle a se stessa, come Chiara coi pandori, con delega, giuro, alla commissione casa dell’europarlamento, accusa la polizia di uno Stato europeo di una macchinazione, un complotto a suo danno: ce n’è abbastanza da fare espellere subito l’Ungheria dall’Europa, queste sono trame nere degne, diciamolo, dell’Italia della Prima Repubblica, delle stragi, della P2, di Berlusconi, dei NAR, dei fascisti al potere, giù giù fino all’Italia di Giorgia Meloni, “da combattere con ogni mezzo” come predica la fondatrice del movimento salisiano, nei peggiori centri sociali di Torino e dintorni.

Trattasi di accusa immane, per la quale chiediamo subito una pioggia di mozioni in Parlamento, in Europarlamento, a Che tempo che fa, da Lilli Gruber, e anche a Sanremo. Solo che qualcosa non ci torna: non era babboSalis, questo personaggio sempre misurato, dialettico, opportuno, coerente, non era lui a dire, a ripetere che la figlia portava il manganello o bastone telescopico che dir si voglia nello zaino “a scopo difensivo? Sì, l’è lù, l’è semper lui, el tamburo principal della banda d’Affori. Ci ha martellato per mesi, ma a questo punto quindi allora qui siamo di fronte a una contraddizione nel senso della storia, a uno snodo dialettico: sto bastone telescopico gliel’hanno ficcato nello zainétto, come si dice in Brianza, o faceva parte del corredo della giovane Salis? Non fu quel gran genio del compagno, Raimo, a proclamare che Ilaler meritava altro che candidature, meritava medaglie “perché picchiare i nazisti è giusto”?

La questione non è di lana caprina e neanche pecorina: io, cittadino italiano, elettore europeo, voglio sapere la verità, signor Presidente! Perché se il bastone telescopico era di Ilaler, ed è servito a sfasciare i fascisti, allora l’elezione all’Eeuroparlamento che la mette nella commissione casa è cosa buona e giusta, meritata e sacrosanta; se invece è tutta una finzione, beh, poteva dirlo prima e va a finire che l’elezione gliel’hanno regalata quei babbuini sovranisti degli ungheresi, della polizia fascista ungherese che, meglio di Silvan, ha fatto comparire dal nulla un bastone e glielo ha infilato nel marsupione “mentre ero ammanettata vicino al taxi”. Gomblotto!!!

Così vanno le cose, così debbono andare: Ilaler Salis, fino a prova contraria, ha svoltato grazie a meriti penali, e con un processo pendente (oltre ad un curriculum di tutto rispetto di 4 condanne e 29 precedenti di polizia). Se questi meriti evaporano, se non c’è precedente specifico da codice penale ma solo una volgare banale mistificazione, viene meno il presupposto, insomma da innocente uno non vale niente e non merita niente, men che meno la dolce vita politica. È solo un diritto all’eleganza, tipo Soumahoro. Allora qui occorre che babboSalis ci illumini, che ripristini la verità dei fatti. Non sarebbe male se fosse convocato nel falansterio bruxellese (per il viaggio ci pensiamo noi, tranquillo) per ristabilire l’ordine nuovo delle cose: no, no, mia figlia effettivamente aveva in zaino il manganellone, per autodifesa, non vi azzardate a sostenere che glielo hanno messo abusivamente. Ma in quella famiglia, ogni tanto, si parlano?

Max Del Papa, 4 febbraio 2025

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