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Il vero motivo del sì della Lega a Draghi

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Mi meraviglio della meraviglia. O meglio no, ma perché so essere in buona parte farlocca, obliqua, interessata. In questi giorni il mainstream (o meglio quel che ne resta, dopo la dipartita del governo Conte-Casalino-Travaglio su cui inspiegabilmente i debolissimi poteri forti italici avevano puntato tutto) ci sta vendendo come una notizia sconvolgente, addirittura destinata a rivoluzionare il quadro politico, quella che è un’ovvietà. Siamo al cane che morde l’uomo, insomma, spacciato per l’uomo ubriaco che morde il lupo.

Lo stupore per il Salvini “responsabile”

La (non) notizia è l’apertura piena, anzi l’intestazione della stessa operazione, che la Lega ha mostrato rispetto al tentativo Draghi. Tralasciando le reazioni più surrealiste, del genere di quella di Zingaretti “è Salvini che è venuto sulle nostre posizioni” (detto da chi ha ripetuto per mesi con ottusità funzionariale “Conte o morte”), è tutto il gran circo opinante che ostenta stupore e anche palese irritazione per la mossa del Carroccio, dalle vestali del M5s che cianciavano di “ripartire dal perimetro della maggioranza uscente” come tante parodie di Pomicino ai giornaloni che non cessano di sottolineare come “il problema politico” sia ora la presenza della Lega, ovvero del primo partito italiano, in un governo di salvezza nazionale invocato dal presidente della Repubblica. Tutto fumo negli occhi per nutrire il mito scaduto (ammesso abbia mai avuto senso) dell’“antisovranismo”.

Quelli che non hanno capito la Lega

La verità, cari signori (e in questa truppa di contrariati dall’iniziativa del Capitano metto anche certi destri di rito “romano”) è che non avete ancora capito cosa sia la Lega. A furia di raccontarcela come una sentina di bavosi populisti, negazionisti incoscienti, analfabeti di andata e ubriaconi di ritorno, avete creduto alla vostra stessa propaganda. Rivelandovi, oltre che faziosi, anche dei pericolosi dilettanti. La verità l’ha detta, ad esempio, il professor Massimo Cacciari, uno che neanche con tutta la buona volontà potere ammantare di simpatie salviniane, ma che persevera nel vizio di connettere la sua intelligenza con la realtà: “La Lega è l’unico partito che ha un vero radicamento sociale oggi in Italia”. E ce l’ha in quel blocco dei produttori senza cui non c’è alcuna parvenza di economia reale, gli imprenditori, i commercianti, gli artigiani, i lavoratori autonomi a vario titolo, le partite Iva.

Nel Nord, luogo d’elezione dei produttori, è sostanzialmente egemone in questo blocco, governa tutte le regioni ad eccezione dell’Emilia Romagna (peraltro amministrata da una sinistra molto più “produttivista” di quella di Zingaretti e Bettini), addirittura le due locomotive per eccellenza, Lombardia e Veneto, le governa con uomini propri. È assolutamente normale, perfino tautologico, che con questa constituency (che precede la stessa segreteria salviniana, ma che questa ha oggettivamente espanso), nel pieno della peggiore emergenza del Dopoguerra, con 400 mila aziende e 200 mila professionisti polverizzati nel 2020 (fonte Confcommercio), la Lega vada a vedere le carte di Mario Draghi. Non di un avvocato di provincia, e nemmeno di Mario Monti, esecutore fallimentare per conto del rigorismo tedesco, ma di Mario Draghi, uno che il rigorismo tedesco l’ha combattuto in nome della crescita, peraltro vincendo.

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