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Joshua Wong in carcere, ma è più libero di noi occidentali

Joshua Wong è ufficialmente un prigioniero politico. Lo attendono 13 lunghissimi mesi e oltre di reclusione. Insieme a lui, con condanne leggermente più lievi, anche altri due giovani attivisti pro-democrazia, Agnes Chow (10 mesi) e Ivan Lam (7 mesi). Così ha deciso la giustizia filo-cinese in un procedimento penale lampo dall’esito esito prevedibile.

Chi si era illuso del fatto che il regime comunista non avrebbe condannato il celebre leader della Rivoluzione degli Ombrelli per evitare di farne un martire agli occhi del mondo, si è dovuto purtroppo ricredere. Alla Cina, infatti, non importa nulla di quello che può pensare la comunità internazionale, tanto più che questa non sembra essersi presa troppo a cuore la questione.

E così, con l’Occidente in qualità di spettatore non pagante, questi poveri ragazzi sono finiti dietro le sbarre, come del resto era già capitato in passato a due di loro. Pensate che Wong è stato definito “egoista” dal giudice che lo ha condannato perché, durante le manifestazioni da lui organizzate, ha addirittura “bloccato il traffico di Hong Kong”. Cosa saranno mai – viene da chiedersi – libertà, democrazia e diritti umani se paragonati all’ossessione per la puntualità tipicamente orientale? Follia pura.

“Una sentenza – ha spiegato infatti lo stesso magistrato – necessaria ad enfatizzare deterrenza e punizione”. Mentre la stampa di Pechino la definisce “un monito per i giovani secessionisti di Hong Kong con idee malsane”. “Colpirne uno per educarne cento”, diceva Mao. Detto che sembra esser stato seguito alla lettera dai suoi posteri. La questione è assai delicata. Sebbene questi attivisti siano diventati volti noti e abbiano già dimostrato una tempra morale e un coraggio fuori dal comune, rimangono pur sempre dei ragazzi poco più che ventenni. Quanto potranno resistere? Subiranno torture?

Wong, con i suoi libri e i suoi profili social, ci ha già raccontato le drammatiche vicende che ha vissuto in carcere negli anni passati e ancora in questi giorni, mentre Agnes, che in prigione non ci è mai stata, dopo la lettura della sentenza è scoppiata in lacrime e viene descritta come molto vicina ad un crollo psico-fisico. Tutto ciò avviene mentre ad Hong Kong, tra leggi bavaglio e Covid19, le manifestazioni di piazza diventano ancora più difficili e pericolose da organizzare. Difficile, quindi, che qualcuno possa fare qualcosa per loro.

Va inoltre ricordato che le pene inflitte a Wong, Chow e Lam sono state “lievi” perché i fatti per cui erano accusati sono stati commessi prima dell’entrata in vigore della legge sulla sicurezza nazionale cinese. Ma da ora in avanti chi manifesterà in favore della democrazia, o ricorderà i fatti di Piazza Tienanmen, finirà il carcere e i cinesi butteranno via le chiavi.

Intanto noi dobbiamo chiederci: cosa faremmo se fossero figli nostri? Avremmo forse consigliato loro di espatriare prima della sentenza? Gli diremmo di resistere in questi mesi per poi fare un passo indietro lasciando ad altri il compito di portare avanti una guerra che non si può vincere? Oppure combatteremmo insieme a loro per un ideale più grande, costi quel che costi? Bè, io sceglierei senza dubbio la terza opzione.

Lotterei in prima fila con loro. Lo ha urlato anche Joshua prima di essere portato via in manette. “Continuate a combattere! È dura ma dobbiamo andare avanti!” E ancora: “C’è un’altra battaglia davanti a noi – ha scritto l’avvocato di Wong con il profilo twitter del ragazzo – oggi ci uniremo ai tanti coraggiosi attivisti già in carcere per continuare la battaglia in prigione, meno visibile ma essenziale per la democrazia e la libertà di Hong Kong”.

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