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La crescita delle B-Corp, le aziende “socialmente buone”

Altro che gretini che sfilano per strada incuranti di chi lavora ed ecologisti improvvisati che bevono dalla borraccia anche quando sono accasciati nel divano di casa, convinti così di esorcizzare il diavolo nella bottiglia (in questo caso di plastica). I valori del rispetto dell’ambiente, della lotta alle emissioni e della sostenibilità in genere sono sempre più marcati in Borsa. A dimostrarlo sono due segnali di per sé indipendenti ma a ben guardare convergenti nel fare luce su quanto sta accadendo.

Da una parte la crescita del fenomeno B-Corp, la pattuglia di aziende certificate “socialmente buone”, perché si impegnano fin dallo statuto a produrre nel proprio agire quotidiano un impatto positivo sulle persone e sulla natura. Dall’altro la lista nera in cui BlackRock ha appena relegato 244 società che – a suo giudizio – non avrebbero compiuto sufficienti progressi rispetto al rischio climatico. Nei 53 casi ritenuti più gravi il big Usa, che vale la pena ricordarlo, gestisce la bellezza di oltre 6.500 miliardi di dollari, ha portato il proprio dissenso fino all’assemblea. Un campanello di allarme non da poco conto.

Ma soffermiamoci sul Dna e sulla diffusione delle B-Corp, una interessante spia di come stia cambiando il modo di fare impresa, abbracciando schemi più “benefit”. Mettiamolo subito in chiaro: le “B Corporation”, che hanno tra i loro sostenitori anche il premio nobel per l’economia Robert Shiller, sono società che non rinunciano all’utile. A differenza di fondazioni o onlus, le B-Corp sono società “profit”, che mirano a fare guadagni come qualsiasi altra impresa degna di questo nome almeno dalla rivoluzione industriale in avanti, non hanno vincoli nella distribuzione dei dividendi ai soci e non godono di agevolazioni fiscali. La differenza però è che i loro business plan non sventolano solamente i classici indici di ritorno sul capitale e sugli investimenti – il “Roe” e il “Roi” a cui stanno tanto attente le sale operative per gli ordini di “buy” e “sell” in Borsa – ma anche altri parametri che misurano il loro “ritorno etico” in modo che si assicura essere altrettanto stringente.

Per ottenere la certificazione di B-Corp, l’azienda candidata deve infatti superare l’esame di B Lab, l’ente no profit preposto che rilascia quello che potremmo definire il bollino blu dello “sviluppo sostenibile” verso la collettività e l’ambiente. Una efficace sintesi si può trarre dal caso di una delle più note B-Corp internazionali: PatagoniaRealizzare il prodotto migliore, non provocare danni inutili, utilizzare il business per ispirare e implementare soluzioni alla crisi ambientale”, recita come un mantra il gruppo americano specializzato in abbigliamento sportivo, che periodicamente devolve parte dei propri guadagni al mondo ecologista. Difficile dimenticare la pubblicità in cui nel 2011 Patagonia invitava a caratteri cubitali non acquistare la sua giacca top di gamma – “Don’t buy this jacket” – enumerando i sacrifici ambientali necessari per produrla. Dall’altro lato però i capi di Patagonia, per quanto ben congeniati, non sono certo low cost e questo va a tutto vantaggio anche dei conti del gruppo. Come spesso è accaduto per le rivoluzioni economico finanziarie, a partire da quella della Silicon Valley, anche l’idea di fondere profit e non profit nel Dna di una società è nata negli Stati Uniti una decina di anni fa ma si è rapidamente diffusa.

Ad ottobre 2019, ultimi dati disponibili, erano già oltre quota 3 mila le B-Corp certificate in 71 Paesi nel mondo. E l’Italia, che è stata tra le prime in Europa a normare le benefit corporation nella sua giurisdizione nel 2016, ne conta un centinaio. A rompere il ghiaccio era stata la milanese Nativa attiva nella consulenza alle imprese, tra le più note o curiose ci sono poi D-Orbit, la start-up “spazzino spaziale” che lavora per sgomberare l’orbita terrestre dai satelliti in disuso; l’elenco prosegue poi con realtà dell’alimentare come Fratelli Carli e Illy Caffè, del design come Alessi, quindi con società dei servizi come Nwg Energia o della salute come Aboca. E proprio l’ad del gruppo della salute toscano, Massimo Mercati, sottolinea come Aboca abbia “abbracciato il movimento B-Corp perché sostiene un modello di impresa che ci è molto vicino e che oggi dimostra di essere potenzialmente vincente”. “L’impresa – prosegue il manager – deve inserirsi all’interno del sistema vivente, condividendone le regole. In quest’ottica la sostenibilità rappresenta un principio costitutivo dell’impresa e un elemento fondamentale della sua competitività”.

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