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La farsa delle Sardine è ai titoli di coda

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Non vi preoccupate, è quasi finita. La farsa delle Sardine, umiliante, incredibile perfino per un paese tragicomico come il nostro, è all’epilogo: i flop di presenze, la débacle a Napoli, gli sbandamenti e gli svenimenti, defezioni e censure, scazzi e faide da Politburo sovietico e lui, il sardina interfaccia, il lanciatore di frisebee, il nipotino del geom. Calboni, che proclama: la stagione è all’epilogo, e già sfoglia la margherita delle candidature. Il più vacuo, presuntuoso, imbarazzante, evanescente di tutti, quello con l’attrazione fatale per telecamere e potenti, quello delle foto con gli industriali concessionari, quello che al giornalista pugliese che lo contesta, risponde ridendo: portami il documento, fammi vedere il documento che mi ricollega a Prodi, e il documento è facilmente reperibile in rete e allora lui, ridendo, sparisce circondato dai pretoriani. Perché anche questo si è dovuto vedere, la negazione di ogni idea, talento, sostanza, scortata come un martire in pericolo. E ride, ride, “ma che cazzo te ridi”, gli direbbero dietro a Roma.

Ed è finita. Niente più acqua per queste sardine. Chi può si rifugia sotto l’ombrello del partitone rosso, gli altri, come sempre, alla malora, in attesa di nuove ridefinizioni, di nuovi travestimenti. Ne abbiamo visti di agglomerati cialtroni, li abbiamo visti mutare pelle, nome, colori per non cambiare mai, ma a questo livello di infantilismo, di petulanza mocciosa no, era difficile da immaginare e più difficile è stato assistere. Con i media mainstream che, catafratti alla vergogna, li esaltavano, li corteggiavano, li inventavano, letteralmente. Quante ci è toccato leggerne! E ogni volta non credevamo ai nostri occhi: ma davvero ci sono colleghi che hanno il coraggio di scrivere questo? E sì che la compagnia di giro la conosciamo, e sì che siamo incalliti ad ogni tipo di prostituzione intellettuale. Ma con le sardine si è andati oltre così come si va oltre ogni limite con la canonizzazione di Greta, la rompicoglioni che profetizza l’estinzione dell’umanità ma si blinda con una intrapresa per lo sfruttamento del brand per i prossimi ottant’anni. Ormai pare che se non sei imberbe, di aspetto immaturo, sessualmente incerto, mentalmente disturbato, non hai alcuna credibilità. Mentre, in presenza di questi requisiti, qualsiasi scienziato, qualunque premio Nobel deve chinare la testa e tacere.

Che cosa diranno adesso quei giornalisti, quei commentatori che portavano il sardina cerchietto in processione? Che, addirittura, gli attribuivano il merito di aver fatto vincere il partito aziendale di riferimento in Emilia? Facile: diranno che no, loro non ci erano mai cascati, analizzavano, semplicemente, raccontavano; e, soprattutto, non ci ricascheranno. Ma sono gli stessi che, di fronte alla tragica evidenza, raccontata da pochi non omogeneizzati al conformismo militante, accusavano questi ultimi di odio, fascismo, falsità. Gli stessi che volevano coprire di ridicolo chi non si beveva questi imbecilli travestiti da pesci, e che adesso, impermeabili alla decenza, continueranno a sdottoreggiare con più spocchia di prima. Pessimi giornalisti, senza il coraggio della verità. Vergognosi commentatori, chiusi in gabbie di ideologia. Cialtroneschi corifei del nulla, complici di una farsa quale mai si era vista, forse neppure ai tempi del piombo insanguinato, delle escandescenze extraparlamentari, così si chiamavano, di cui le sardine rappresentano, in fondo, l’ulteriore, miserabile degenerazione.

Un movimento che non c’era, rimpolpato di reduci, di cariatidi, di fannulloni, di cacciatori di dote, di groupies, di leccaculo. Gente che non aveva una risposta su niente, una opinione su niente, però “portava visibilità”. Opportunisti. Parassiti. sciacalletti, in fondo. E adesso i più cinici troveranno un posto nelle istituzioni, dove continueranno a fare quello che hanno fatto nei loro primi trent’anni, cioè niente: solo, adesso, ben remunerati. Nelle istituzioni oppure nei presìdi culturali e della comunicazione. Un movimento che non c’era, costruito a tavolino da alcuni boiardi stagionati, forse sovvenzionato da un decrepito miliardario sovversivo finanziatore di Ong specializzate in traffici umani.

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