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La mossa sbagliata di Bergoglio

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Rimuginando  sul suo famoso “chi sono io per giudicare”, dicunt a Santa Marta che Bergoglio si stia pentendo di aver cacciato su due piedi, dopo averlo indirettamente accusato addirittura di peccato mortale, il capo della Gendarmeria Vaticana Domenico Giani. Ingiustamente incolpato della divulgazione delle foto segnaletiche che violavano la privacy di alcuni addetti vaticani coinvolti nell’ennesima inchiesta su una compravendita immobiliare della Chiesa. Come se Oltretevere da sempre il pettegolezzo, soprattutto se a sfondo sessuale o di denaro, non sia il sale di ogni discussione. Ora che si sta preparando alla sua impegnativa visita in Giappone, pare che il Papa abbia confidato al suo strettissimo cerchio magico che il vecchio Comandante già gli manca. E magari sta anche cercando di capire chi gli ha servito questa polpetta avvelenata, che ha fatto sobbalzare sulla sedia i capi dei servizi segreti, dalla Cia al Mossad, che con Giani avevano intessuto da anni riservate collaborazioni.

Ma per capire bene cosa sta succedendo occorre partire da lontano. Nel 1999, quando l’aretino Giani venne assunto in Vaticano, la gendarmeria pontificia non esisteva più. La militarizzazione inizia nel 2006, quando succede al cavalier Cibin, creando molti malumori, gelosie ed invidie soprattutto nel Governatorato. Si tratta dell’organismo che, sulla carta, esercita il potere esecutivo del Vaticano, dove regna indisturbato un rubicondo cardinale piemontese, Giuseppe Bertello, affiancato, come segretario generale, dal fidato vescovo spagnolo di Salamanca, Fernando Vergez, una sorta di simpatico Sancho Panza in abito talare. Tuttavia ciò che atterrì fu il salto tecnologico delle apparecchiature di controllo e di sorveglianza, in gran parte arrivate segretamente da Israele.

Vatileaks 1 esplose infatti quando l’allora segretario generale, Carlo Maria Viganò, tentò di esternalizzare la gestione della telefonia del Vaticano. Immediatamente si scontrò con Giani, da sempre fedele agli ultimi tre Pontefici, il quale comprese che qualcosa non stava girando per il verso giusto; fu proprio quella notizia che, un anno dopo, portò in carcere il maggiordomo infedele di Ratzinger, Paolo Gabriele. Ma quello che ha scoperto l’ex Comandante in questi 20 anni di indefesso servizio è molto di più, rigorosamente avvolto da un silenzio sacrale. Fino a quando la Segreteria di Stato è stata retta da un fedelissimo di Bergoglio, il cardinale Angelo Becciu, Giani ha operato indisturbato, ma dopo la promozione del porporato a Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, la situazione si è complicata, arrivando addirittura a far inquisire la Segreteria di Stato da parte di un organismo esterno in una velenosa guerra finale per la successione a Papa Francesco.

Come se non bastasse, il Vaticano viene oggi rappresentato sull’orlo del collasso finanziario, anche se gli asset sono più che solidi. Negli ultimi settant’anni si è spesso parlato delle difficoltà di bilancio del piccolo Stato e, alternativamente, della Santa Sede. Ma non è mai successo niente per un motivo lapalissiano: la legge della Chiesa dice testualmente che “Il Romano Pontefice, in forza del primato di governo, è il supremo amministratore ed economo di tutti i beni ecclesiastici”.Ora, presupporre che la Chiesa Cattolica, rectius la Santa Sede, cioè l’insieme degli organismi che aiutano il Sommo Pontefice nella propria missione, rischi il baratro finanziario per 70 milioni di euro è pura follia. Basti pensare che, nel corpaccione della Chiesa Cattolica (che ogni mese paga, inter alia, 3 milioni e mezzo di euro di stipendi), esistono delle realtà (diocesi, università, ordini religiosi) che hanno bilanci persino quattro, cinque volte superiori a quelli dello Stato Vaticano e della Santa Sede messi insieme. Pure di questi enti, il Papa è “supremo amministratore ed economo”.

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