Politica

La sinistra non cambia: è illiberale e antidemocratica

Dagli attacchi a Berlusconi al caso Roccella, passando per Capezzone: la storia si ripete. Ma la censura è violenza

Eugenia Roccella interrotta al Salone del libro di Torino

Era il 19 Giugno 2009 quando a Cinisello Balsamo, nel Milanese, durante un comizio per il ballottaggio delle amministrative un gruppetto dei centri sociali iniziò a contestare il Presidente Berlusconi nel tentativo di impedire la regolare prosecuzione del suo intervento. Neanche a dirlo quale possa essere stato l’effetto degli schiamazzi di una schiera di antidemocratici di sinistra su Silvio Berlusconi: rinvigorirne il tono e la carica. “Abbiamo anche la contestazione, evviva! – disse il Cav – Così almeno tutti voi potete capire la differenza fondamentale che c’è tra noi e loro: noi non andremmo mai, e mai siamo andati, a disturbare l’incontro tra qualcuno dei loro leader e i loro elettori perché noi siamo uomini e donne democratici e di libertà. Non sapete cos’è la nobiltà d’animo, non sapete cos’è la democrazia, non sapete cos’è la libertà. Siete ancora, oggi come sempre, dei poveri comunisti”.

Fece storia. Ma evidentemente non insegnò nulla a quel manipolo di contestatori antidemocratici che, anzi, pare essere andato incontro ad un rapido processo di riproduzione; sono passati 14 anni e – dopo una sfilza interminabile di instabili esecutivi rossi privi di qualunque sorta di ‘mandato popolare’- grazie ad una vittoria ampia e netta al governo c’è di nuovo il centrodestra. Nient’altro che un semaforo verde per i figli di quei contestatori di Cinisello Balsamo: hanno cambiato nome, simboli e statuti, ma sono sempre loro, più odiosi che mai.

Caso Roccella, non è il primo

Oltre la perenne falsa narrazione di un esecutivo fascista, ostile ai diritti civili e intollerante rispetto alle minoranze, gli sbandieratori della democrazia e i cantori della libertà non perdono occasione per fare tutto il contrario di quello che professano. Solo negli ultimi mesi è successo a Giorgia Meloni al congresso della CGIL, alla Sapienza a Daniele Capezzone – che a causa dell’aggressione dei comunistelli dei centri sociali non ha potuto partecipare al convegno al quale era stato invitato da un’associazione universitaria – ed è capitato di nuovo sabato scorso al ministro Roccella al Salone del Libro, dove un manipolo di sedicenti antifasciste le ha impedito di intervenire. (…)

Impedire al ministro Roccella di parlare non ha significato soltanto negare i valori della cultura, del dialogo e del rispetto che il Salone del Libro, da palestra di libertà e democrazia quale non è mai stato, sarebbe meglio iniziasse a rappresentare: impedire al ministro Roccella di intervenire è stata una rappresentazione plastica ed ipocrita del messaggio che il gruppetto squadrista, urlando, voleva far passare. Neanche sto a dirvi cosa sarebbe accaduto se, a parti inverse, al posto di quelle femministe intolleranti ci fossero stati militanti di destra. È il solito cortocircuito di sinistra: se sono i radical chic e i sinistrorsi ad impedire a qualcuno di destra di parlare, quello è legittimo esercizio democratico del diritto di contestare; se per caso, a farlo, fosse chiunque altro, sarebbe inevitabilmente squadrismo. L’inaccettabile ributtante doppio standard al quale ci hanno abituato. E quanto ribrezzo facciano i sedicenti antifascisti paladini della democrazia che pensano di potersi arrogare il diritto di decidere chi possa parlare e chi no, proprio non so dirvelo.

I soliti censori

I fatti del Salone del libro, sicuramente, svelano per l’ennesima volta chi sono i violenti: gli attacchi alla libertà di parola infatti provengono sempre da sinistra e minano i valori della libertà, del confronto, della possibilità di esprimersi; calpestano la Costituzione e i principi di libertà che essa contiene. Eccoli, gli inqualificabili fasciocomunisti: gruppi di fanatici autoproclamatisi democratici e alfieri della libertà che hanno ottenuto, insieme alla tessera di Partito, anche il patentino della superiorità morale e per questo sono braccio armato dell’intellighenzia perbenista che ha affidato loro il mandato ad impedire agli ospiti indesiderati di parlare, spacciandolo per “diritto alla contestazione”.

Come nasce questo atteggiamento intollerante della sinistra che arriva perfino a praticare e giustificare la censura? È illuminante la risposta che si dà il Professor Alessandro Campi su ‘Il Messaggero’: è frustrazione culturale. L’aver perso il presidio dei luoghi strategici di produzione culturale e la capacità di produrre idee in grado di radicarsi nell’opinione diffusa della collettività e di trasformarsi in consenso, è il tramonto di un modello; una fine amara che ha dato vita ad un senso di delusione talmente rabbioso in grado di trasformarsi in fanatico dogmatismo. Anche i fallimenti teorici dovrebbero spingere all’autocritica e favorire il desiderio di allargare i confini della conoscenza ma è accaduto paradossalmente il contrario: il senso di sé si è accresciuto a dismisura insieme all’allergia verso pluralismo e il sano confronto tra idee diverse. E così, a sinistra, si è cristallizzato quel sentimento di chiusura e autoreferenzialità fatto di formule vuote, parole d’ordine e pensiero unico che hanno fatto crescere il settarismo e la pretesa di ritenersi sempre nel giusto.

La menzogna è verità, la salute è malattia ed i comunisti son fascisti, riscrivendo Orwell.

La sinistra vuole scegliere chi può parlare

Ebbene sì, gli intolleranti di sinistra ritengono che per essere abilitati alla discussione sia necessario prima dichiararsi, a priori, a favore delle loro verità. Nelle società libere nessuno può arrogarsi il diritto di parlare in nome della “verità”, di ritenersi un privilegiato nella conversazione democratica. Ripropongo il concetto di fondo: sarebbe l’ora di smetterla di prestare l’orecchio alla prepotenza morale di quelli che credono di stare un gradino sopra – in quanto dotati di purezza e civiltà infinita – e che chi sta al piano di sotto debba essere costretto, prima di affacciarsi al dibattito, a recitare la formuletta di accredito e condivisione rispetto alle idee che stupidamente (ma forse ci sono anche riusciti) hanno tentato di ergere a verità assoluta. In realtà, però, non lo sono. L’infinito processo alla destra semplicemente fa ridere; lo screening del sangue democratico è un fiume di parole bugiarde e l’imbavagliatore col diritto al free speech può anche essere contraddetto.

Giustificano la censura

E menomale che, proprio l’altro giorno, su ‘Il Domani’ Roberto Saviano spiegava che la destra di governo è violentissima; e per fortuna che, appena il giorno prima dei fattacci, Michela Murgia proprio al Salone del libro puntava il dito contro quelli che a suo dire sono i fascisti da combattere, e cioè Giorgia Meloni e il suo governo. Perché, a guardare quello che è successo a qualche ora di distanza, verrebbe da dire l’esatto contrario. A parlare la violenta lingua dell’illiberalità non è stata certo il ministro Roccella ma un gruppetto da sempre abituato a impedire a chi ha un’altra visione di esprimerla. Sempre più attuale, Sciascia: “Il più bello esemplare di fascista in cui ci si possa oggi imbattere è quello del sedicente antifascista unicamente dedito a dare del fascista a chi fascista non è”.

Nel frattempo alcuni fanno finta di non capire: la democrazia è dissenso ma non sopraffazione e censura della parola. Un conto è contestare, un altro impedire a qualcuno di esprimersi; e se la contestazione è democrazia, la censura è violenza. Di fronte a tanta arroganza, di fronte a un gruppo di prepotenti che impedisce a chicchessia di parlare, ci si sarebbe aspettati la ferma condanna da parte di tutto l’arco costituzionale – l’avversario si lascia parlare, funziona così in ogni democrazia. Invece no, non è così in quella di Schlein, Murgia e Saviano che della democrazia, evidentemente, sono turisti a convenienza: da sinistra infatti non sono mancate le surreali prese di posizione in difesa dei contestatori. E quel Partito Democratico che da Sandro Pertini si fregia di aver raccolto il testimone in quanto a continuità politica – vai a capire con quale coraggio – tutto fa tranne che condannare la violenta manifestazione di intolleranza di sabato scorso.

Schlein – che difende le ‘imbavagliatrici’ e accusa il governo di temere il dissenso – sappia che chiunque difenda chi impedisce ad un avversario politico di parlare ed esporre le sue idee, come minimo si definisce fascista. O comunista, che è la stessa cosa. Stesso discorso per Murgia, che sulla carta stampata si spertica in una giustificazione surreale della violenza messa in atto dalle squadriste rosse al Salone del Libro e pare teorizzare una sorta di diritto alla censura.

Ma forse è solo l’esegesi del modo di pensare dei nuovi signori della sinistra: le violenze perpetrate verso la destra sono giuste e possono essere tollerate; proprio come quando i loro genitori giustificavano i crimini delle brigate rosse. Anche Saviano non è diverso e, forse senza volerlo, decide di mostrare per l’ennesima volta di che pasta è fatto: “La destra è andata al salone del libro di Torino per provocare”. Come evidenzia Nicola Porro, è la stessa impostazione logica per mezzo della quale le Brigate Rosse legittimavano le loro violenze: ‘Lo Stato borghese ci provoca.’

È la solita sinistra

I censori accusano i censurati di essere antidemocratici. Sono i soliti metodi per intimidire e silenziare. E chi non si adegua alle loro verità dovrebbe scomparire dalla faccia della terra. Pasolini, che era un gigante, non a caso parlava di “fascismo degli antifascisti” riferendosi a quella frangia dell’antifascismo che tanto piace agli azionisti e ai criminali ideologici di sinistra che oggi vogliono dettare legge e pensiero.

“Impedire di presentare un libro è come bruciarlo riportando alla mente i peggiori episodi della storia dell’umanità”, scrive il Ministro Lollobrigida. Ha ragione. Perché, quando il dialogo e il confronto vengono messi a tacere con la prepotenza, lì finisce la libertà. E non solo quella del Ministro Roccella al Salone del Libro, quella di Daniele Capezzone alla Sapienza, quella del Presidente Meloni al congresso della CGIL e quella di tutte le persone che volevano ascoltare ciò che avevano da dire, bensì quella del Paese tutto. Che oggi, sicuramente, è un po’ meno democratico. E di certo non per colpa del governo.

Questo è il volto contemporaneo del fascismo. E sarebbe meglio non chiamarli, per comodità, ‘antidemocratici’ e ‘prevaricatori’. Hanno un nome: comunisti.

Francesco Catera, 24 maggio 2023
*Consigliere Nazionale Forza Italia Giovani

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