Cronaca

La verità sulle Marche “razziste” (da uno che ci vive)

L’omicidio di Civitanova Marche subito usato per cercare il movente razzista. Ma non è così

Cronaca

Un paio di cose, per amor di verità, sull’omicidio di Alika Ogorchukwu, l’ambulante nigeriano invalido, subito colto al balzo dai propagandisti di sinistra, da Formigli all’ossessivo in camicia rossa Berizzi alla solita Lucarelli, immancabile, per dare addosso a Giorgia Meloni; la quale, tuttavia, finalmente ha risposto, bollando il delfino di Santoro come sciacallo: più che giusto, non si può sempre far finta di niente, ci piace anzi pensare che la leader di Fratelli d’Italia ci legga; quanto a quell’altra, non merita risposta perché si aggrappa pure agli asciugamani degli alberghi per far parlare di sé.

L’omicidio di un nigeriano, senza tanti giri di parole, figlio del razzismo instillato da Meloni e Salvini: questa la lettura, più imbecille ancora che squallida, della sedicente informazione di sinistra, quella controllata dal PD. Col corollario: Marche razziste e criminali.

Razzista, la piccola regione marchigiana al centro dell’Italia? Chi scrive ci vive (e la racconta) da 40 anni e si sente di rispondere: non più che altrove. Se proprio vogliamo buttarla in politica, ci sono enclave come Ascoli, dove certo razzismo di destra estrema senza dubbio alligna. Ma il grosso della regione è storicamente controllato dalla sinistra, i Comuni quasi tutti a guida Pd, si veda per tutti il sindaco di Pesaro, Ricci, un provax forsennato al limite della provocazione, autore di incredibili svariate uscite punitive, quasi oltre Speranza. Solo nell’ultimo mandato l’ente regionale è passato a Fratelli d’Italia, ma la regione, in sé, è sempre stata rossa come la Rivoluzione d’Ottobre. Quindi, se razzismo c’è, occorre ricondurlo a contesti storicamente inequivocabili.

Ma di razzismo nelle Marche non ce n’è se non in dosi fisiologiche. C’è, invece, una propensione alla violenza non solo spicciola, da meridione arretrato, machista, questo sì, sulla quale tutti glissano; e c’è da almeno trent’anni, con massicce infiltrazioni di forme di criminalità più o meno organizzata che poi hanno tracimato, venendo in parte scalzate dalle mafie straniere. Due i punti critici: l’Hotel House di Porto Recanati, fin troppo famigerato, e Lido 3 Archi di Fermo, dove, per limitarci alla cronaca delle ultimissime ore, la polizia ha faticato ad arrestare un nucleo di spacciatori nordafricani con tanto di sentinelle armate e cani pericolosi sedati: erano imbottiti di ovuli di droga, da espellere a suo tempo. Roba che qui non stupisce nessuno, perché si ripete quotidianamente. A Lido 3 Archi la casistica delle violenze, degli omicidi, delle aggressioni, dello spaccio, o legata al racket della prostituzione intersessuale, è praticamente indescrivibile negli ultimi 40 anni.

Quanto a Civitanova Marche, teatro dell’omicidio infame, il sindaco Ciarapica (al secondo mandato, Forza Italia, alleato nazionale del Pd), deve smetterla di dichiarare ai 4 venti “noi siamo una comunità pacifica e operosa”: sa benissimo che la sua è una piazza che preoccupa le forze dell’ordine per il dilatarsi di episodi critici, dalle risse, non solo giovanili, allo spaccio, fino a situazioni apparentemente futili, da marciapiede, che rischiano di sfociare in tragedie come quella di cui parliamo; e siamo all’altro elemento di cui nessuno vuol parlare.

Se gli agit prop di sinistra si scannano a definire le Marche violente, razziste, fasciste, dovrebbero però considerare che a far fuori il poveretto, con la sua stessa stampella, è stato un balordo trentenne pregiudicato, legato ad ambienti malavitosi napoletani, accoppiato con una di quasi 50 che subito lo ha difeso. Talmente farabutto da andarsene dopo aver rubato il telefono della sua vittima. Quindi, se bisogna scomodare il razzismo acritico, in questo caso bisogna rivolgerlo contro: certo Mezzogiorno, certa mentalità a questo legata, il mondo operaio (l’assassino questo, saltuariamente, faceva), insomma le categorie che la sinistra tende a difendere per sua stessa natura con argomenti-cliché. Lo sanno: ma svicolano. Perché non gli conviene. Tanto ci sono Salvini & Meloni che giustificano qualsiasi cialtronata.

Quando, qualche anno fa, Pamela Mastropietro, la giovanissima sbandata romana, venne fatta fuori e poi smembrata nella vicina Macerata da elementi legati alla mafia nigeriana, non risulta che i vari Formigli, Lucarelli e compagnia cantante si siano minimamente scomposti: l’hanno buttata nel solito luogo comune del “caso isolato”, del non criminalizzare, ossia hanno agito esattamente come oggi imputano ai loro bersagli; qualcuno ha trovato la faccia di incolpare, e ti pareva, i soliti Meloni e Salvini in quanto responsabili di “un clima di odio e di violenza” che avrebbe originato la reazione da parte di Oseghale e i suoi presunti complici. E invece era una banda di spacciatori mafiosi che avevano messo le mani su una tossica e poi avevano litigato fra loro perché, dopo averla fatta a pezzi, non se l’erano mangiata (sta agli atti).

Allo stesso modo, quando un violento di Fermo, Amedeo Mancini, ammazzò con un pugno il nigeriano Emmanuel Chidi Namdi, al culmine di un litigio da strada, l’intera città si schierò dalla parte del locale, incluso il Pd che governava (“la comunità sta tutta con Mancini”, ebbe a dichiarare il sindaco, con una frase che suonava come qualcosa in più di una asettica constatazione); che il responsabile provenisse da ambienti legati a Forza Nuova, servì solo ai 4 gatti di un centro sociale per inscenare una protesta “contro le destre fasciste”, ma così, tanto per abbaiare alla luna: dal responsabile, “figlio della nostra terra”, nessuno si dissociò sul serio, e a difendere Emmanuel restammo il sottoscritto e don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco: puntualmente coperti di minacce da destra e da sinistra al grido: “Fermo non si tocca”. Più che razzismo, un campanilismo inverecondo e arretrato. Tutto questo sulle testate engagée, ormai specializzate in gossip militante, non lo troverete: ma è la pura verità, e non teme smentite.

Max Del Papa, 30 luglio 2022

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