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L’appello per difendere produttori e interesse nazionale - Terza parte

Per far ripartire la produzione, l’Italia deve affrontare la questione del debito pubblico le cui dimensioni, destinate a crescere in misura considerevole, ci rendono oltremodo fragili e dipendenti da interessi e volontà altrui. Emissioni a lunga scadenza, esenti da imposte e destinate in primo luogo ai cittadini italiani (ma aperte anche a fondi esteri, soprattutto di Paesi amici), appaiono uno strumento utile a questo scopo. Una tale operazione, se di successo, consentirebbe di svincolarsi da condizioni politiche che avrebbero come esito ulteriori cessioni di sovranità.

Difendere l’interesse nazionale equivale a difendere i produttori e difendere i produttori significa difendere l’interesse nazionale. Per questo il piano economico non è separabile da quello strategico. Il conflitto tra Stati Uniti e Cina per la supremazia mondiale non è un fatto congiunturale, ma è destinato a durare per molto tempo e influenzerà decisioni e posizionamenti dei maggiori Stati. L’Italia, come gli altri Paesi europei, non può rimanere indifferente o peggio scivolare verso la Cina, come talvolta sembra stia facendo: noi invece diciamo, come ha fatto di recente il segretario alla Difesa americano, che l’Italia deve collocarsi in un rinnovato asse atlantico imperniato su Stati Uniti e Regno Unito.

Le scelte di fondo sul debito e la collocazione internazionale formano la cornice strategica in cui si inseriscono interventi d’urgenza per attenuare gli effetti, particolarmente gravi in situazione d’emergenza, che derivano dai malanni di cui l’Italia re da tempo: una bulimia legislativa spesso fatta di norme confuse che portano a sovrapporre competenze e poteri; una giustizia invasiva che non effettua ex post il controllo di legalità ma mette paletti ab initio e scoraggia attività d’impresa e investimenti; la mancanza di infrastrutture e manutenzione della proprietà pubblica; una tassazione abnorme e di rapina.

Interventi d’urgenza configurano una specie di Stato di eccezione nell’ambito della produzione.

  • In primo luogo occorre ripensare, riducendone il peso, il sistema fiscale che grava sul capitale e sul lavoro. Diventa quindi essenziale evitare ogni tipo di patrimoniale, che, essendo forzosa, creerebbe un clima di sfiducia favorendo la fuga dei capitali
  • In secondo luogo va disboscato il coacervo degli “infiniti” adempimenti in materia di lavoro, di ogni vincolo legislativo o amministrativo, delle lungaggini procedurali. Pensiamo a misure straordinarie come la sospensione, nel periodo di ricostruzione, del Codice degli Appalti e del Codice del Consumo. In questo quadro va ripensato il reato di abuso d’ufficio per snellire autorizzazioni e avvii lavori.
  • In terzo luogo occorrono azioni mirate per preservare la liquidità dei produttori, attuare un piano di investimenti infrastrutturali finanziato dalla Bce, destinare risorse a tutela delle piccole imprese, dell’economia locale e del made in Italy. Sono tutte leve da azionare senza indugio per imprimere l’impulso che alla nazione serve per risollevarsi dalla crisi.

All’austerità servirà contrapporre politiche fiscali espansive, che commisurino il gettito alla qualità dei servizi erogati, che osteggino l’ingiustizia sociale che posiziona la cavillosa burocrazia dell’amministrazione pubblica al di sopra del contribuente anche laddove questo vanti un credito. Soltanto così si potrà cogliere l’opportunità di consentire ai cittadini di risollevarsi dalle asperità e rinvigorire la propria capacità di prestarsi al sostenimento del Paese.

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