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Le grinfie di Gentiloni sul governo Draghi

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Ora che il Parlamento italiano è anestetizzato, la partita di Draghi si gioca tutta in trasferta. Vaccini e miliardi del Recovery Fund devono essere portati a casa e, per vincere, dovrebbe trarre ispirazione da Carlo Azeglio Ciampi, ovvero puntare tutto sull’Europa e sul suo azionista di maggioranza: la Germania. Il tempismo sarebbe perfetto: con l’uscita di scena di Angela Merkel il prossimo settembre e di Emmanuel Macron nella primavera del 2022, Draghi ha tutte le carte in regola per diventare il premier europeo più influente. Già al suo debutto di venerdì alla riunione dei leader del G7, collegato in videoconferenza davanti ad un tavolino “stile IKEA-Santa Marta”, in netta rottura rispetto agli stucchi e ai velluti pomposi del fu “Giuseppi”, “Super Mario” è risultato più noto e acclamato dell’altro debuttante, il presidente Usa Joe Biden. E dire che solo 24 ore prima si trovava a dover provare un nobile moto di umana pietas verso la fuoriuscita grillina Rosa Alba Testamento, “nomen omen”, che ha qualificato il suo Esecutivo un “governo di restaurazione”, “un’ammucchiata” e lui come “legato a grandi banche d’affari e a colossi finanziari” che hanno dilapidato l’Italia.

Un segnale rivelatore dei piani di battaglia a cui Draghi si prepara è nella scelta dei tecnici che non ha chiamato a sé, i cosiddetti “draghetti”.  Contrariamente alle attese, Fabio Panetta è rimasto alla Bce, Dario Scannapieco alla Bei e neanche Ignazio Angeloni è stato convocato a Roma. In effetti la trattativa sul Recovery Fund è ormai imminente e non ci sarebbe stato il tempo per sostituirli adeguatamente a Francoforte, oltre al fatto che averli lì è certamente una garanzia.

Il metodo di approccio che avrà il premier italiano con Usa, Cina, Russia e Turchia sarà inevitabilmente intrecciato con le questioni finanziarie e di politica estera. E questo è un problema, perché la tradizione dei funzionari del Tesoro e della Banca d’Italia ha sempre tenuto a debita distanza la diplomazia, percepita come troppo verbosa. Il circuito dei ministri delle finanze e dei banchieri centrali, con il suo G7 e il rito delle riunioni del Fondo Monetario Internazionale e di Jackson Hole, è parallelo e indipendente da quello diplomatico. L’impressione è che sulla Cina, per adesso, ci si affidi per inerzia alla linea di Bruxelles, con Biden che non arretra, per ora, rispetto agli anatemi del vecchio ed acciaccato Trump.

La politica cinese della Ue è stata per anni pericolosamente asimmetrica a favore della Germania e a danno del resto dell’Unione. Ma ancora più importante è il rinnovato legame con gli Usa, per i suoi risvolti politici e in tema di sicurezza. Solo se l’asse transatlantico si rinsalderà, Ue e Stati Uniti riusciranno ad affrontare, dopo il virus, sfide ancor più perigliose come gli attacchi informatici, provenienti sempre più spesso da Oriente. C’è poi la questione aperta della Russia. Fonti dell’intelligence francese intercettate a Forte Braschi pensano che ci sia il 50 per cento di possibilità che tra 6-12 mesi Putin cada, soprattutto dopo che il tribunale russo ha confermato la sentenza a carico dell’oppositore Aleksei Navalny, che resta quindi in carcere. A quel punto la Cina sarebbe più isolata, come pure la Turchia. Se però lo Zar Vladimir riuscirà a scavallare i prossimi 18 mesi, reprimendo le proteste che si moltiplicheranno, allora potrebbe rafforzarsi ulteriormente, con la fine del Covid, l’economia globale in ripresa e il prezzo del petrolio in rialzo.

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