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Le scuole chiuse svelano il bluff dell’istruzione di Stato - Seconda parte

La chiusura della scuola è una grande metafora sull’organizzazione del sapere nel nostro tempo. Il governo, naturalmente, ne è totalmente all’oscuro. Ma spesso un’intenzione ne genera un’altra che non era stata prevista. La chiusura della scuola è una sorta di liberazione del tempo scolastico in cui si mostra che lo studio non coincide con il monopolio statale e il lavoro dell’insegnamento non coincide con l’occupazione scolastica. Non a caso se ne è reso conto un sindacalista come Landini che ha detto: “Sono sospese le lezioni ma il docente continui ad andare a scuola”. Che, come si può capire, è un totale controsenso sia per le esigenze sanitarie perseguite dal provvedimento governativo sia per il lavoro dell’insegnante che non può essere svolto senza studenti. Ma senza studenti i docenti possono fare una cosa che forse non fanno più da molto tempo: studiare. Nessuno impedisce sia ai professori e alle professoresse sia agli studenti e alle studentesse di studiare con la scuola chiusa e proprio perché la scuola è chiusa.

L’esperienza della chiusura è in realtà la scoperta della necessità dell’apertura allo studio. E aprirsi allo studio mostra in modo chiarissimo che la scuola è un necessario atto di libertà in cui lo Stato/governo non è il Tutto o l’ordine prestabilito ma solo una parte che deve concretamente conquistare la sua autorevolezza, se ne è capace, senza comandi ministeriali e senza monopoli.

Giancristiano Desiderio, 6 marzo 2020

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