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Libia, vi spiego il vero flop di Draghi

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Nei titoli di coda di questo Governo, una menzione speciale dovrebbe essere assegnata al “dossier Libia”, la grande incompiuta della politica estera della coppia Draghi-Di Maio. Sei mesi fa Super Mario aveva tentato la scalata al Quirinale anche per fuggire dalla responsabilità del fallimento del Pnrr, forse già allora in odore di disastro politico e sappiamo com’è finita. Oggi il Premier è pronto invece a lasciare gli italiani in mezzo al guado, con i principali nodi dell’economia non risolti: inflazione che galoppa, questione salariale affrontata solo con inutili riunioni che hanno rimandato il problema, prezzo della benzina alle stelle scontata di 30 centesimi di mese in mese e senza risposta strutturale. E pensare che è riuscito anche ad impantanarsi sulla concorrenza, che doveva essere il suo forte e ha distribuito bonus, come un Conte qualsiasi. E sulle spese militari è stato persino superato dalla sempre reticente Germania, che è riuscita a trovare l’accordo per raggiungere l’obiettivo del 2% prima di noi.

Ma torniamo alla Libia, il paese che doveva continuare ad essere il più strategico per noi, come avevano capito negli anni Enrico Mattei, Andreotti, D’Alema, fino a Berlusconi che dovette soggiacere a un diktat di Napolitano contro Gheddafi.

Palazzo Chigi in Libia ha nominato come inviato speciale Nicola Orlando, tanto delicato quanto leggero per quelle tormentate zone, e soprattutto senza alcuna autorità per la mancanza di una linea da Roma così che abbiamo perso qualsiasi influenza nell’area. Ma c’è di più: anche sulla Libia il governo si è spaccato. Di Maio, che aveva chiesto e ottenuto da Draghi l’esclusiva sul dossier, non ha consentito al suo collega della difesa Guerini di intromettersi, nonostante quest’ultimo potesse contare sull’appoggio dell’Aise, servizio molto quotato anche per le solide relazioni intrecciate nel tempo.

Purtroppo, anche nei tavoli internazionali delle trattative su Egitto e Marocco non siamo altro che dei segnaposto e continuiamo a subire le decisioni degli altri; in particolare quelle di Russia e Turchia che, nonostante l’impegno in Ucraina, non mollano il Paese nordafricano.

Il premier libico “scaduto” Dbeibah, piazzato lì dall’Onu, ha un passato da discusso imprenditore e sta offrendo contratti vantaggiosi agli amici degli amici e non vuole mollare la poltrona, nonostante il suo mandato si sia concluso a dicembre quando si sarebbe dovuto votare. Ma poi la tornata elettorale è saltata e la situazione si è fatta incandescente più del solito.

Bashaga, ex ministro dell’Interno di Sarraj, è stato nominato premier dal Parlamento di Tobruk e a maggio ha tentato di entrare a Tripoli, ma le cose sono andate male sfociando nello scontro armato tra le fazioni a supporto di Bashagha e di Dbeibah, premier del Governo di unità nazionale (Gna) di Tripoli. Bashagha ora sembra sia pronto ad entrare a Tripoli (per la seconda volta) ma sta ancora cercando l’aiuto dell’Europa perché non vuole finire nelle braccia di Mosca che lo corteggia da tempo, tanto che il ministro russo Lavrov ha invitato ufficialmente al Cremlino i ministri più importanti del governo Bashagha, che può contare dell’appoggio dell’Egitto e dell’Arabia Saudita.

Se riusciranno nell’impresa, ad entrare a Tripoli saranno quegli stessi uomini che, con il loro contributo, sono stati fondamentali per sconfiggere lo Stato islamico di Al Baghdadi e, come segno di distensione verso l’Italia, sono già pronti a riprendere il vecchio e intelligente piano di Minniti per il controllo dell’immigrazione e soprattutto un piano per allontanare le pressioni degli integralisti islamici che spingono per destabilizzare ancora il quadro. E come se non bastasse, sembrerebbero già intenzionati a coinvolgere le aziende italiane, che ben conoscono la regione, per affidargli la ricostruzione di un territorio distrutto da una guerra civile che ha esasperato ormai gli animi di tutti.

Ma davanti a tutto questo l’Italia sta ferma. Pare che l’unico contatto vero lo abbia Di Maio con il ministro degli Esteri Najla Al Mangush, una simil grillina in salsa tripolina, che nel suo scarno curriculum può vantare giusto uno stage nell’ambasciata qatarina a Washington e una laurea che non sembra vera. Tutto torna: ma non sono gli Usa e i turchi che ci vogliono fuori dalla Libia? Draghi con la sua autorevolezza internazionale almeno sulla Libia avrebbe potuto fare qualcosa.

Luigi Bisignani, Il Tempo 17 luglio 2022

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