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Lo Stato del potere nella post-libertà

libro carlo iannello

Il libro, fresco di stampa, di Carlo Iannello, intitolato Lo Stato del potere. Politica e diritto ai tempi della post-libertà, non deve passare inosservato, non solo agli studiosi ma anche a tutti coloro che vogliono farsi un’idea sulle trasformazioni in atto e in particolare sul ruolo dello Stato. La tesi fondamentale del libro è forte e può essere così riassunta: il neoliberalismo ha negato il liberalismo, ma ha finito pure col negare sé stesso. Il libro è denso, ben articolato e ricco di bibliografia per un approfondimento ulteriore; mi limito qui a cercare di spiegare quella tesi fondamentale.

Superato il principio del laissez-faire e asservito completamente lo Stato all’economia, le politiche economiche neoliberali hanno esteso le dinamiche della concorrenza all’intero tessuto sociale. Il rapporto tradizionale tra Stato e mercato è stato così completamente ribaltato, la politica anche nei suoi fini sociali neutralizzata e sradicando il carattere politico programmatico delle costituzioni, si sono erose le libertà politiche e i diritti sociali. Allo “Stato del benessere” (welfare state) è subentrato lo “Stato neoliberale”, che conserva dello Stato soltanto il monopolio della forza, a garanzia del funzionamento del mercato.

La neutralizzazione neoliberale della politica ha prodotto sia lo scardinamento dei principi dello Stato liberale di diritto (in cui politica e diritto hanno sempre mediato tra gli interessi in conflitto, ossia tra quelli sociali e quelli del mercato), sia lo smantellamento dello Stato sociale, privato della stessa possibilità di realizzare politiche redistributive del reddito.

Lo Stato, tuttavia, nella sua dimensione di mero potere, ha rappresentato lo strumento imprescindibile per la realizzazione di questi obiettivi. Non è quindi “scomparso” lo Stato ma si è trasformato, rovesciando completamente il fine dell’azione pubblica: non più la tutela di quello che un tempo venivano chiamati i diritti naturali dei cittadini (fossero quelli individuali del primo costituzionalismo o anche quelli sociali del costituzionalismo novecentesco), ma la creazione dell’ordine giuridico del mercato.

Le libertà (e su questo ha ragione di insistere Iannello) non potevano non subire conseguenze. Le libertà politiche, certo, restano ma perdono quel carattere fondamentale che avevano sulla base dei testi del costituzionalismo sette-ottocentesche, le libertà sociali vengono compromesse col tramonto del solidarismo (cuore del costituzionalismo novecentesco). Sembravano ancora rimanere intatte almeno le cosiddette “libertà negative”, quelle appunto legate al mercato, il presupposto della cosiddetta “società aperta”: iniziativa economica privata e proprietà.

Eppure, anche questi architravi del neoliberalismo, sono adesso minacciate proprio dalla efficiente realizzazione dell’ordine imposto dalle stesse politiche neoliberali. Il recente arretramento persino delle libertà economiche (della piccola e media impresa e della piccola e media proprietà privata, compromesse dall’implementazione delle agende digitali e green, che sta avvenendo con la logica del piano, come ad esempio il PNRR), testimoniano un rinnovato ruolo interventistico dello Stato, che finisce col provocare l’erosione delle libertà economiche, mettendo in questo modo in discussione le stesse politiche neoliberali.

Iannello, tuttavia, sottolinea, e giustamente a mio avviso, che non ci sarebbe alcun “ritorno dello Stato”, come attore di governo. È la governance a governare e il governo è solo governo di emergenze e uno Stato ormai emergenziale può a causa di ciò limitare qualsiasi libertà: un vecchio marxista avrebbe detto il capitale è diventato totale e non ha più bisogno nemmeno di nascondersi dietro la maschera liberale.

Paolo Becchi, 21 gennaio 2025

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