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L’ultima sciocchezza: un liberale non può essere di destra

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Sul Mulino – Nuova Informazione bibliografica 2/21, Gianfranco Pasquino rivolge una critica misurata e pacata, anche se non condividibile, al libro di Giuseppe Bedeschi, I Maestri del liberalismo nell’Italia repubblicana (Ed. Rubbettino). A suo avviso, “l’autore non delinea i criteri in base ai quali ha scelto i suoi maestri né quali siano/sono gli irrinunciabili principi del liberalismo”, inoltre non sembra essere consapevole del fatto che “è la com­binazione tra i diritti, a partire, come essenziale e fondante, dalla libertà, con le istituzioni, la loro separazione, i freni e i contrappesi, la accountability, che configura il liberalismo contemporaneo”.

Bedeschi, insomma, avrebbe dovuto scrivere un altro libro, semmai sotto la guida (generosa) dello stesso Pasquino. Un recensore, comunque, che non voglia trasformarsi in agiografo, ha il diritto di esporre le sue obiezioni di metodo e di contenuto. Sennonché Pasquino fa di più, contesta a Bedeschi l’inclusione di Lucio Colletti nel pantheon liberale italiano del secondo dopoguerra per “il suo approdo fra le file dei deputati di Forza Italia nel 1996”. Un liberale poteva venire eletto come “indipendente di sinistra” nelle liste del partito marx-leninista ma la “conversione al pensiero liberale” era incompatibile con la scelta del centrodestra. Per Pasquino, non ha alcuna rilevanza teorica e culturale l’ultima produzione intellettuale di Lucio Colletti – dalle Pagine di filosofia e politica. (ed. Rizzoli 1986) alla Fine della filosofia e altri saggi (Ed Ideazione, 1996) – nelle quali emerge un liberalismo pessimista e pensoso, che recupera l’idea (oggi teologicamente archiviata) del peccato originale, “l’unico dogma cristiano che un laico possa condividere che implica, usando la terminologia kantiana, la radicale malvagità dell’uomo” e “porta con sé la necessità di guardarsi dal potere, di porre a esso dei limiti. Perché il potere corrompe chiunque lo detenga, credente o non credente, buono o cattivo che sia”.

È significativo che la squalifica etico-politica, che Pasquino fa pesare sul filosofo contaminato dal rapporto col Cavaliere, è tutt’altro che condivisa dalla cultura di sinistra. Repubblica, ad esempio,  nel commosso necrologio dedicato a Colletti il 3 novembre 2001, scriveva: “Nel 1996 accettò, lui che aveva sempre rifiutato di candidarsi alle elezioni politiche, un seggio alla Camera, sottolineando tuttavia di considerarsi a tutti gli effetti un indipendente all’interno del movimento di Berlusconi. E per tutta la legislatura è rimasto coerente a questo impegno, diventando spesso un pungolo per il movimento azzurro non lesinando mai critiche”.

Dino Cofrancesco, La Ragione, 13 luglio 2021