Cronaca

Ma quale codice Ateco, legalizziamo la prostituzione una volta per tutte

Serve un iter normativo vero e proprio per riconoscerlo come lavoro e scacciare via l’ipocrisia

prostituzione © shansekala, Владимир Васильев e pixelshot tramite Canva.com

Italiani popolo di santi, poeti, navigatori e… puttanieri. Per comprendere quanto quest’ultima affermazione possa risultare vera basterebbe scandagliare le liste dei clienti dei club notturni delle sex city oltre il confine italico, da Lugano e Chiasso nel Canton Ticino, fino a Villaco, nella cattolicissima Carinzia, per arrivare sino a Nova Gorica, in Slovenia, ad appena pochi chilometri dal confine friulano. I molti “bordelli di frontiera” disconoscono totalmente il significato della parola crisi.

Al contrario, pullulano letteralmente di clienti, molti dei quali “frontalieri” di chiara nazionalità italiana, desiderosi di abbandonarsi a qualche ora di sano piacere lontano anni luce da divieti, limitazioni e restrizioni imperanti incontrastati nella Madre Patria. Del resto, si sa, nonostante le moderne degenerazioni legate alla capillare diffusione nel Belpaese del fenomeno “wokista”, il maschio italico conserva ancora i suoi originali tratti di “amante latino” perennemente alla ricerca di nuove esperienze amorose. Quand’anche dovesse trattarsi, per tutta una serie di variegate ragioni che non staremo qui ad elencare, di esperienze figlie del provvidenziale supporto del Dio denaro.

Cambia il metodo, ma non la sostanza. Anzi, l’intensa ricerca, da parte degli italiani, di rapporti sessuali a pagamento, tanto sui canali esteri “autorizzati”, quanto su quelli domestici “non autorizzati”, testimonia la crescente domanda verso un mercato, quello del sesso, a cui decine di migliaia di utenti italici tendono a rivolgersi sempre con maggior frequenza. E questo è indubbiamente un dato di fatto di cui la politica dovrebbe ragionevolmente tenere conto, lasciando da parte ingiustificate isterie da bordello e falsi moralismi da salotto. In questo senso, la recente introduzione nel sistema di classificazione utilizzato per identificare le attività economiche dei codici connessi a “Servizi di incontro ed eventi simili” può certamente rappresentare un primissimo step per affrontare finalmente la questione in maniera intelligente, seria e pragmatica.

Un punto di partenza, dunque, e non certamente di arrivo, dal momento in cui la sola estensione della lista dei cosiddetti codici Ateco non cambia la normativa nazionale in materia di “incontri”. In Italia, infatti, l’attività di prostituzione non può tutt’ora essere considerata un lavoro, e l’induzione e lo sfruttamento della prostituzione restano reati penali perseguiti dalla L. 75/1958, la cosiddetta legge Merlin. Per sdoganare definitivamente, anche nel Belpaese, le attività legate all’organizzazione di servizi di incontro a fini sessuali occorrerebbe, infatti, un apposito intervento normativo, e non la mera previsione di uno specifico codice Ateco. Anche perché, nei fatti, l’Istat non ha fatto altro che estendere quel codice che in passato riguardava solamente “attività di accompagnatrici, di agenzie di incontro e di agenzie matrimoniali” per mere ragioni di carattere fiscale.

Permane, invece, rimanendo del tutto immutato, il problema di natura legale. Ed è esattamente lì che l’esecutivo di centrodestra dovrebbe intervenire, portando avanti un vero e proprio iter normativo che preveda la legalizzazione della prostituzione e l’effettivo riconoscimento del lavoro sessuale, con tanto di diritti e doveri. Così da regolarizzare lavoratori e lavoratrici del sesso, consentendo loro di avere un reddito dichiarato e dei contributi previdenziali, apposite tutele legali e assicurative, ma anche obblighi di natura igienico-sanitaria, di cittadinanza, e, da ultimo, fiscale, che contribuirebbero, tra l’altro, anche a far emergere una parte assai consistente di economia che, stando alle rilevazioni Istat, comprenderebbe un giro d’affari che nel 2022 ammontava a quasi 5 miliardi di euro, con una crescita del 4% rispetto all’anno precedente.

Un autentico fiume di denaro, con ogni probabilità anche sottostimato, che, peraltro, va a finire quasi sempre all’estero o nelle mani della criminalità organizzata, e mai nelle casse di uno Stato che poi, conseguentemente, tende a rivalersi fiscalmente sempre sui medesimi contribuenti, ignorando ipocritamente una realtà consolidata e ormai sotto gli occhi di tutti. Ivi compreso di chi, per interesse, per convinzione personale o più semplicemente per mancanza di coraggio, si ostina ancora a guardare alla prostituzione come il “male assoluto” da scacciare via dai confini nazionali per preservare l’integrità morale e la purezza del popolo italiano.

Salvatore Di Bartolo, 17 aprile 2025

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