Economia

Guerra in Ucraina

“Mancherà il cibo”: l’allarme di Biden e Macron

L’Ucraina è il “granaio d’Europa” ma non può seminare. E ora rischiamo una “carestia”

Economia

Macron lo va ripetendo ormai da un paio di settimane. Biden l’ha confermato ieri con un carico di drammaticità. Ma in fondo pure Zelensky aveva già lanciato l’allarme: con le bombe che cadono sulla testa degli ucraini, seminare il campi sarà complicato e nei prossimi mesi potrebbe mancare al mercato mondiale una grossa fetta di grano, olii e cereali. Tradotto: se il granaio del mondo si ferma, l’Europa e il mondo rischiano una “crisi alimentare senza precedenti“.

Il presidente francese aveva esposto il problema subito dopo la conferenza di Versailles di due settimane fa mettendo sul tavolo dei leader europei il rischio di una carestia “ineluttabile”, in Europa ma soprattutto in Africa e in Medio Oriente, se la Russia non permetterà nelle prossime settimane ai contadini ucraini di portare a termine la semina. Già oggi le importazioni di mais, grano e olio di semi di girasole sono ridotte al lumicino, con le navi cargo bloccate nei porti di Odessa e del Mar d’Azov controllati dalle navi russe. Kiev ha pure vietato l’export di segale, orzo, grano saraceno, miglio, zucchero, sale e carne per evitare carenza di cibo nei mesi di guerra. Se nulla cambierà, e il fatto che l’esercito di Putin stia scavando trincee non pone a favore di una rapida risoluzione del conflitto, tra 12 o 18 mesi potrebbe arrivare una vera a propria “carestia”.

Anche il presidente degli Stati Uniti ieri in conferenza stampa a Bruxelles ha esposto al mondo il tema dell’allarme alimentare, sintomo che il dossier non è di facile soluzione. “L’emergenza cibo sarà reale – ha sintetizzato Biden – il prezzo delle sanzioni non lo paga solo la Russia ma anche i nostri alleati europei”. I grandi del G7 stanno cercando di trovare una soluzione “per alleviare le preoccupazioni”. L’idea sul tavolo è quella di attuare un piano d’emergenza mondiale in quattro punti: 1) liberare gli stock in caso di crisi “per evitare qualsiasi situazione di penuria e moderare gli aumenti dei prezzi”; 2) firmare un “impegno multilaterale a non imporre restrizioni alle esportazioni di materie prime agricole”, 3) aumentare le “soglie di produzione” e 4) applicare “un meccanismo di assegnazione dei volumi per garantire un accesso a tutti, in particolare ai più vulnerabili”.

Sul piatto c’è anche la disponibilità di Canada e Stati Uniti ad aumentare la produzione per “distribuire più cibo nel mondo”. E l’Ue sta esortando i Paesi a mettere a frutto altri campi ora lasciati incolti: la Commissione nei giorni scorsi ha approvato un piano da 500 milioni di euro di aiuti, di cui 48 milioni destinati all’Italia.

Certo queste misure possono tamponare la falla. Magari per un giro di semina. Ma poi l’Ucraina, che rappresenta circa il 20% delle importazioni di grano dell’Ue, dovrà tornare a produrre. O i prezzi inizieranno a salire. Kiev produce il 10% del mercato mondiale del grano, il 13% dell’orzo, il 15% del mais e soprattutto ha in mano il 50% del mercato mondiale di olio di semi di girasole. A questo va aggiunto che pure la Russia, causa sanzioni, rischia di uscire dalle rotte di importazione, nonostante pesi per il 24% della produzione globale di grano, per il 14% di orzo e per il 24% di olio di semi di girasole.

Senza contare il caos fertilizzanti, che iniziano a scarseggiare. Lo sanno bene i pastifici e panificatori italiani, che in queste settimane stanno limando i costi e i profitti ma prima o poi saranno costretti ad aumentare i prezzi del pane e della pasta. Ma anche gli allevatori, in difficoltà con i mangimi proteici con cui cibare gli animali: molti di loro stanno anticipando la macellazione delle bestie per il timore di non poterle nutrire.

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