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Meloni indagata, l’Italia non si merita un altro assurdo processo Open Arms

Una decisione politica non si processa in tribunale e non si sottopone a un procedimento penale. Ma qualcuno non lo ha ancora capito

Meloni autostrade banche

Ci risiamo. Ormai i fatti sono noti a tutti: Giorgia Meloni è indagata per favoreggiamento e peculato. Insieme a lei i ministri Matteo Piantedosi e Carlo Nordio, e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Nel mirino della Procura di Roma – del già noto Francesco Lo Voi – la gestione del caso del comandante libico Najeem Osema Almasri Habish, arrestato e poi rilasciato e riportato in Libia con aereo di Stato dei servizi. In un momento in cui è già altissima la tensione tra politica e magistratura, ecco la nuova indagine sui membri del governo, a partire dal primo ministro.

Una ripicca per la separazione delle carriere, che proprio oggi riprende il suo cammino in Senato? Il tentativo di seguire il consiglio contenuto nella famosa mail del magistrato Marco Patarnello (“Meloni più pericolosa di Berlusconi, bisogna porre rimedio”)? Difficile dare una risposta, ciò che è certo è che ci troviamo di fronte all’ennesima azione eclatante che rischia di innescare ingiustificatamente un ulteriore motivo di tensione e di conflitto.

La Procura capitolina s’è mossa formalmente innescata da un esposto dell’avvocato Luigi Li Gotti, un uomo di legge vicino al centro sinistra e legale di numerosi pentiti di mafia. Un assist al bacio per Lo Voi, che come ha ricordato la Meloni è lo stesso “del fallimentare processo a Matteo Salvini per sequestro di persona”. Anche il processo Open Arms è stato allestito per indagare su un atto politico, una vicenda giudiziaria durata anni e chiusa con l’assoluzione dell’ex ministro dell’Interno poco prima di Natale.

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Il punto della discussione è proprio questo: indagare su un atto politico è assurdo. Come è possibile ipotizzare i reati di favoreggiamento e peculato, si intende peculato d’uso, per i vertici dello Stato e per una vicenda del genere? Bisogna fare chiarezza, forse anche alzando la voce visto quanto accaduto negli ultimi trentatre anni: una decisione politica non si processa in tribunale e non si sottopone a un procedimento penale. È semplicemente inconcepibile travestire una decisione di un premier o di un ministro da reato. Questa va combattuta in Parlamento, non va discussa davanti a un giudice. Perché l’allarme non riguarda solo il governo Meloni, ma anche tutti quelli che verranno. Anche se sappiamo che con la sinistra al potere emerge molta più clemenza.

L’offensiva giudiziaria è più che sospetta, l’ennesimo tentativo di una spallata giudiziaria della sinistra a un governo di destra. Del resto tutta questa vicenda ricorda molto da vicino quanto accaduto nel 1994, quando Silvio Berlusconi ricevette l’avviso di garanzia a Napoli mentre presiedeva il vertice Onu sulla criminalità. Anche la tempistica fa pensare: l’avviso di garanzia arriva 24 ore prima dell’informativa in Parlamento sul caso Almasri, quasi a voler destabilizzare il dibattito politico. Ma serve equilibrio e per spegnere le polemiche sarebbe utile l’immediata archiviazione da parte del tribunale dei ministri. Sia per evitare anni di processo alla Meloni e ai suoi ministri senza una valida ragione, sia per ribadire che non è possibile ipotizzare reati per aver governato nell’interesse nazionale. I giudici ora avranno novanta giorni per indagare e giungere alla conclusione: archiviare o chiedere al parlamento l’autorizzazione a procedere.

Un motivo in più per accelerare con le riforme della giustizia, soprattutto con quella che più spaventa le correnti della magistratura: la riforma del Consiglio superiore della magistratura. Con buona pace dei magistrati politicizzati.

Franco Lodige, 29 gennaio 2025

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