Cronaca

P38 contro la Meloni, studente pronto a diventare capoclasse

L’alunno antifà del liceo Righi dopo il brutto gesto contro il premier: “Mi ispiro ad Altiero Spinelli”

Visto che chiede di essere identificato solo così, lo accontentiamo: lo “studente antifascista del liceo Righi” di Roma è un comunista in erba. Perché solo un giovane comunista va in gita al Senato, con la scuola, e qui fa il gesto della P38 rivolto a Giorgia Meloni.

Un comunista che sicuramente cercava visibilità, magari anche una candidatura prospettica, certo vuole uscire dall’anonimato, diciamo un ragazzino influencer. E adesso, da perfetto comunistello, si spiega come segue: “Sono un antifascista. Rivendico il mio gesto. Ho ‘sparato’ in alto. Le politiche migratorie. Pensiamo alla ‘buona scuola’. Mi ispiro ad Altiero Spinelli”, uno che ha generato la degna figlia Barbara, vestale comunista e antifascista, e che solo la vergognosa propaganda boniniana ha poi spacciato come un martire della mitezza ideologica.

Insomma la paccottiglia di sinistra fra lo-Renzi d’Arabia, il radicalismo accattone e il piddinismo da centro sociale. Difatti, il piccoletto viene subito adottato da giornali come Repubblica, che ne cantano le gesta col registro falso asettico dei complici morali, laddove uno così avrebbe bisogno di tanti calci nel culo, alla Renato Pozzetto. Anzi, al professor Cecioni, quello che a un certo punto si rompe le balle ed entra in classe con l’idrante recitando la dannunziana Pioggia nel pineto: “Piove! Piove su voi deficienti, sulle vostre teste di mulo, sulle vostre facce da culo!”. E giù acqua.

Il moccioso ignorante però una cosa giusta l’ha detta: “Se facevo il pugno chiuso non succedeva tutto questo casino”. In effetti… Il pugno chiuso ha il lasciapassare, è sempre di moda, un evergreen, simbolo di lotta e resistenza, di impegno e consapevolezza. È anche vero che pugno chiuso e P38 s’intrecciano, però il pugno chiuso non patisce l’ipocrisia pelosa di chi finge di sdegnarsi in nome della pace, pace, pace, e intanto esalta le terroriste sanguinarie come quella professoressa di filosofia da Fatto Quotidiano.

Qui casca l’asino, inteso come somaro: additare lo studente antifà del Righi come scheggia impazzita, discolo antagonista è troppo comodo: diciamo le cose come stanno, così come l’Università è quel posto in cui i pro Hamas dettano legge e aggrediscono i giornalisti liberali e gli ebrei concilianti, spalleggiati dai professori sedicenti democratici, dai cattedratici in fregola, dai premi Nobel che impediscono a un papa tradizionalista di parlare (e lo chiamano dialogo), la scuola dell’obbligo è lo stesso posto dove hanno diritto, e reddito, di cittadinanza solo i cialtroni della sinistra più o meno radicale, cioè tutta.

L’antifà del Righi è un simbolo, è l’epitome e lo sa; e se ne vanta quando dice “non mi pento, ho mandato un messaggio, fa il ribaldo e pretende di dare lezioni di geopolitica ai livelli demenziali e cialtroneschi delle Ipazia, dei Santoro, dei Bergoglio. Non perché, questo sia precisato di passata, non si possano avere riserve, fortissime, anche sul nazionalismo ucraino e israeliano (anzi, la suscettibilità tattica di questi paesi sta veramente cominciando a stufare), ma perché le cose nel mondo non stanno e non si risolvono con quattro slogan in croce da studente deficiente.

Ora, finché un ragazzino che va in Senato a mimare le Brigate Rosse verrà definito un resistente, un giovane favoloso, un compagno che ha sbagliato ma anche no, comunque uno dalla parte giusta, anziché un viziato, egocentrico e già orientato al fannullismo parolaio della politica più squallida, non se ne esce. Finché non si prende atto che la scuola è un troiaio che alleva gente del genere, non se ne esce. E passi la sinistra vaneggiante delle Schlein e del duo cabarettistico Fratoianni-Bonelli, premiata ditta di demiurghi di soggetti come Soumahoro; ma quando a destra spunta un ministro come Valditara, che passa la vita a scusarsi di essere bruciato in effigie insieme alla sua premier, che manda circolari “contro il patriarcato” e vuole assoldare il primo Gino Cecchettin che passa, altro che uscirne.

Significa che la situazione è compromessa ma non seria, che questa destra emolliente, al netto di qualche dadaumpa o uscita da balconcino, resta fermamente determinata a lasciarsi dettare l’agenda dalla sinistra nostalgica del brigatismo infantile. Con la “destra” a camminare sulle uova, a non permettersi un fiato di contrarietà, a scusarsi di essere viva. E magari a volersi “confrontare” con un simile minorenne. Vedrete che quest’altra meteora, lungi dal patire conseguenze disciplinari (anzi, lo faranno capoclasse, rappresentante d’istituto e magari Che Guevara ad honorem, e hodorem), avrà il suo quarto d’ora di gloria, sfilando da Fazio a Formigli, dalla Bianca ai rossi antichi, e magari verrà arruolato nella teppaglia gender dei cosiddetti attivisti climatici antifascisti per Hamas.

Tutto già visto, tutto già vissuto, ma il tragico è che è l’eterno ritorno di Wanna Marchi, solo più truce, più miserabile, più fetente.

Max Del Papa, 20 marzo 2024

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