Speciale Elezioni Regionali 2020

Perché la sconfitta in Emilia può far bene a Salvini

Speciale Elezioni Regionali 2020

Il referendum sulla persona, il taglio dei parlamentari, il proporzionale, il voto disgiunto, il voto frazionato, ponderato, comparato, per lista, per coalizione, le alchimie, i grovigli, gli scenari. La storia futura fatta con i “se”. Ma vogliamo usare il rasoio di Occam, vogliamo dire le cose come stanno, poche e chiare? Le cose stanno che in Emilia-Romagna non hanno voluto rischiare, hanno rifiutato la tabula rasa e riconfermato un mondo, un sistema. Fondato sulla tradizione di un curioso comunismo dei padroncini, tenuti insieme e tenuti a bada dal partito e dal sindacato, sul radicamento del potere, sul concime clientelare di settant’anni di monopolio amministrativo, ma tant’è. Le cose stanno che Bonaccini rimane dove sta, che la sua nomenklatura, insieme a quella nazionale del partito, tira un lungo sospiro di sollievo; assai meno Conte, che dovrà barcamenarsi come e più di prima, molto Mattarella che ha rischiato di dover offrire il suo peggio se chiamato a blindare un governo che comunque nei numeri, nelle proporzioni di forze, non esiste oltre: il movimento-setta di Grillo disciolto o meglio confluito nel partitone rosso, secondo vocazione primigenia.

Le Sardine decisive? Non esageriamo, le sardine sono i soliti agit prop, per dire gli elementi parassitari di tutte le epoche che, come in ogni epoca, passeranno subito all’incasso del servilismo e dell’inconsistenza. Le cose stanno anche che il presunto famigerato sistema Bibbiano continuerà “con più fame che pria”; perché la magistratura inquirente potrà anche accusare, portare prove, ma non è pensabile che poi la magistratura giudicante non prenda atto di un riscontro politico al quale, costituzionalmente, è sempre molto attenta.

Le cose stanno anche che Salvini ha messo paura al grumo di potere emiliano, ha incassato una barca di voti ma non gli è bastato e lui ha sbagliato quel poco o tanto che una certa differenza probabilmente l’ha fatta. Quello svarione della citofonata al presunto spacciatore tunisino! Perché è vero che in giro, segnatamente nelle periferie, nei quartieri degradati e invivibili l’esasperazione per irregolari e clandestini si taglia col coltello, ma a lungo andare satura anche l’ossessione per la mina vagante, per la presenza molesta, per il diverso che porta disagio e inquietudine.

Il populismo di Salvini c’è, ha funzionato, funziona su base leaderistica ma il leader della Lega dovrà porsi il modo, presto o tardi, ma più presto che tardi, di sviluppare una articolazione seria attorno a sé. La Lega non può essere solo lui, nei pregi e nei difetti e anche nel discorso con cui si è lealmente presentato a rendere l’onore delle armi, Salvini ha toccato le solite corde di un populismo melenso e un po’ logoro: l’Italia che è il paese più bello del mondo, i figli che non vede abbastanza, la stanchezza per il bene degli italiani, che si rinnova in ancora maggiore impegno. Sì, ma il treno emiliano e romagnolo è andato.

Che poi i 5 Stelle nella loro pazzia pretendessero di fagocitare il PD e invece si siano ritrovati divorati da questo, si siano ridotti a nutrire un partito talmente malmesso da sparire nella proiezione di Bonaccini, è vero; come è vero che una simile dinamica stabilizza a gioco breve il governo Giuseppi per minarlo in profondità, e come è vero che il partito post comunista, ancora un po’ comunista, reagirà alla maniera comunista di sempre; tutti rilievi veri, fondati ma ulteriori e allora ritorniamo al rasoio di Occam: Salvini aveva la sua occasione ma l’ha mancata e anche lui ne esce indebolito: se non a livello di coalizione, con la rampante Giorgia, Meloni, certo all’interno del partito coi veneti di Zaia, i lombardi di Fontana e in realtà di Maroni, che son lì a fare da tenaglia e se non la faranno subito è perché non conviene, ma sicuramente le ganasce cominceranno a muoverle. Quanto meno per far capire che il verticismo a lungo andare sfocia nell’implosione.

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