“Perché lo avete fatto morire così?”, ebbe a chiedersi un incredulo Tony Blair riferendosi alle dinamiche che precedettero la morte di Bettino Craxi, avvenuta il 19 gennaio 2000 ad Hammamet, in Tunisia, dopo un lungo e doloroso calvario. Dal canto suo, l’ex premier britannico proprio non riusciva a capacitarsi di come, in Italia, non si fosse fatto nulla per consentire all’ex segretario del Psi di potersi curare in Italia prima che la morte prendesse inesorabilmente il sopravvento.
E, d’altronde, risulta alquanto difficile poter dare torto a Blair e a chi, come lui, in questi anni si è più volte interrogato sui motivi che, nelle ultimissime settimane dello scorso millennio, portarono la classe politica del tempo a negare all’ormai quasi morente Craxi finanche l’onore delle armi. Interrogativi che, tuttavia, anche oggi, un quarto di secolo dopo la scomparsa del segretario socialista, non trovano ancora le adeguate risposte. O meglio, le risposte, quelle che oggi conosciamo, le ha fornite il tempo, come sempre galantuomo, di certo, molto più di chi, nel corso di questi venticinque lunghi anni, ha deliberatamente ignorato la questione, fingendo di non sapere, di non vedere o di non essere anch’egli coinvolto.
Dovrebbero spiegarcele, costoro, le ragioni che li indussero ad abdicare a qualsivoglia genere di decisione in merito alla possibilità di consentire a colui che fu, e che rimane tutt’oggi, uno tra i più importanti leader politici dell’Italia repubblicana, di fare rientro in Patria per sottoporsi a un delicato intervento chirurgico che avrebbe potuto salvargli la vita. Perché? Perché in quella fase la politica optò vigliaccamente per la non decisione lasciando campo libero alla Procura di Milano? Perché il governo del tempo proprio non volle trovare una soluzione idonea a garantire al leader socialista la possibilità di rimettere piede nel Paese con finalità curative e a condizioni appropriate? Perché fu rimessa ogni decisione nelle mani di Francesco Saverio Borrelli, allora capo del pool milanese di Mani pulite, il quale, com’era ovvio che fosse, disse no a qualsivoglia ipotesi di rientro in Italia che non contemplasse l’arresto immediato di Craxi?
Chi o cosa impedì a Massimo D’Alema, all’epoca dei fatti a capo di un esecutivo di coalizione di centrosinistra, o magari, perché no, a Giuliano Amato, storico braccio destro di Craxi e ministro del Tesoro del governo D’Alema, di avere l’ultima parola sulle sorti del leader socialista? Ce lo spieghino loro il perché. Davvero Bettino Craxi non meritava da quel Paese che aveva servito per tutta una vita neppure un briciolo di umana pietas? Davvero non é stato umanamente possibile scrivere su questa storia un epilogo diverso? Perché Giuliano? Perché Massimo? Perché lo avete fatto morire così?
Salvatore Di Bartolo, 18 gennaio 2025
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