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Pirandello ai tempi del bancomat

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Il sole di marzo, io e Beatrice. Ottima occasione per dialogare solo con lei e vivere una dimensione in cui essere noi stesse, senza condizionamenti esterni. “Sai che c’è? Andiamo a prenderci un bel gelato!” Per godere appieno di quell’imprevista libertà pre-clausura, lascio il telefono sul tavolo e indosso una borsetta mignon con lo spazio necessario per il bancomat e le chiavi di casa. Usciamo mano nella mano e camminiamo chiacchierando. Che meravigliosa spensieratezza!

Arrivate al primo sportello per ritirare il necessario, la carta viene rifiutata, strano. Dico a mia figlia di pazientare e trotterelliamo fino a uno sportello “amico”, ma nulla, anche là viene rifiutata. Busso e un bancario alto, squadrandomi, mi parla diffidente dal vetro… abbozzo una spiegazione, mi apre, ci accomodiamo.

“Ah!” dice lui. “La sua carta è scaduta! Queste le abbiamo disattivate in anticipo, ora risolviamo…ha un documento?”.

“A dire il vero oggi non ce l’ho. Le sembrerà strano, ma sono uscita solo con il bancomat”.

“Ha l’app della banca?”

“A dire il vero oggi non ho il cellulare con me. Le sembrerà strano, ma volevo godermi mia figlia senza distrazioni di sorta”.

Pe qualche istante quel lieve disagio dilata uno spazio tra i pensieri usuali e mi viene in mente Mattia Pascal, protagonista del noto romanzo, ritenuto erroneamente morto, emozionato per la possibilità di una nuova identità, senza documenti che avrebbero potuto testimoniare la sua presenza nel mondo: “M’assaliva di tratto in tratto l’idea di quella mia libertà sconfinata, unica, e provavo una felicità improvvisa, così forte, che quasi mi ci smarrivo in un beato stupore; me la sentivo entrar nel petto con un respiro lunghissimo e largo, che mi sollevava tutto lo spirito. […] Padrone di me! Senza dover dar conto di nulla a nessuno!”

“Capisco… queste cose accadono sempre quando non te le aspetti” mi scuote la voce del bancario che naviga al pc alla ricerca del mio conto.

“Vedo se posso recuperare il documento depositato… se abbassa un attimo la mascherina, potrei riconoscere il suo volto”. Mi osserva da dietro il plexiglass e continua con qualche domanda per appurare la mia identità: pare che io sia proprio io.

Volevo solo mangiare un gelato con mia figlia e mi trovo invece tesa a dimostrare di essere chi i documenti avrebbero dovuto testimoniare io fossi.

Alla fine, dopo aver sperperato in ufficio quel tempo speranzoso, riesco a ritirare 40 euro, sorrido da dietro la mascherina: “Tutto questo è estremamente pirandelliano, non trova? È difficile essere davvero liberi…”.

“Eh, non lo dica a me” risponde con un’espressione da Belluca “sa, questo posto mi sta stretto, ma è meglio che non mi faccia sentire”.

Guardo mia figlia con la coda dell’occhio… si è sciolta sulla poltroncina verde pisello. È annoiata come non mai, scelgo qualche caramella con il logo aziendale.

Raccolgo Beatrice e ci spartiamo quello zucchero in franchising per mandar giù la pillola delle convenzioni, considerando però che quella percezione di una possibile libertà sarebbe stata senza dubbio bella, ma anche un tantino tiranna, se non ci consentiva neppure di comperare un gelato.

Fiorenza Cirillo, 16 marzo 2021

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