Esteri

Quale è l’unica strada per cacciare Putin dal Cremlino

Le mosse della Nato sono quasi obbligate: la diplomazia ha fallito e fare guerra a Mosca non è possibile

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Vladimir Putin è diventato agli occhi del mondo l’icona del male, sulla sua figura è impresso lo stigma di una tossicità pregiudizievole per la convivenza pacifica. L’aggressione alla sovranità territoriale di Kiev in nome del panrussismo ha generato la condanna unanime del consesso internazionale, suffragando l’isolamento del neo-zar per la dissennata vocazione bellicista. Le misure punitive varate dall’Occidente scavano un solco profondissimo fra il presidente moscovita ed il concerto delle democrazie avanzate con effetti che, a loro volta, possono provocare una spaccatura insanabile fra Putin e l’opinione pubblica russa.

Di recente le agenzie internazionali di rating, come S&P, Moody’s e Ficth, hanno decretato la vulnerabilità finanziaria della Russia tagliando il merito creditizio, che equivale ad un giudizio negativo e di inaffidabilità sulla solvibilità e la capacità di rifinanziare il debito da parte del Cremlino. L’azione concentrica delle sanzioni, declinate nell’estromissione dal circuito finanziario mondiale (Swift) e nel sabotaggio economico dell’Orso russo, con la concomitante privazione di credibilità sullo scenario globale, pongono Putin in una sorta di isolamento eremitico che sta nuocendo fortemente all’economia della Russia. Il crollo della borsa e del rublo attestano un cambiamento negativo sulla stabilità finanziaria di Mosca con gli analisti che decodificano le tendenze in atto come segni premonitori di un imminente default. La compattezza dell’Occidente nel comminare la rigorosa reazione sanzionatoria rappresenta, per il momento, l’unica strada percorribile per fomentare la consunzione del regime putiniano, considerando l’impraticabilità di una guerra guerreggiata da parte della Nato che potrebbe avere conseguenze devastanti su larga scala.

La dotazione russa di armi nucleari costituisce una minaccia che lo stesso Putin più volte ha evocato qualora l’Alleanza Atlantica intervenisse direttamente nella disputa bellica. La mancanza di scrupoli nell’offensiva di Mosca si rivela ogni giorno mettendo a rischio la sicurezza europea. Per ottenere il controllo della centrale nucleare di Zaporizhzhia le forze russe ne hanno messo a repentaglio la sicurezza che, se fosse stata compromessa, avrebbe potuto replicare gli effetti funesti di Chernobyl, moltiplicandone la dimensione catastrofica.

Dobbiamo confrontarci con una certezza: la pericolosità di Putin, che non è addomesticabile dalla conciliazione diplomatica e né sopprimibile dalla reazione militare atlantica. Ormai è accertato che la mediazione si è svelata superflua al contenimento della volontà prevaricatrice russa, mentre l’intervento della Nato scatenerebbe l’inferno globale. Allora è giusto procedere nel sostegno della resistenza ucraina con il rifornimento di armamenti, evitando di avvitarci negli sterili dibattiti di cui sono promotori i pacifisti che con le loro posizioni “neutraliste” invocano la pace, sillabandone ingenuamente il nome, nella pretesa di disarmare gli aggrediti. La manifestazione di Roma del movimento pacifista, con lo slogan “Cessate il fuoco, per una Europa di pace”, ha visto la partecipazione del leader della Cgil Maurizio Landini che ha rilasciato una dichiarazione da inserire nell’antologia delle ovvietà: “Bisogna fermare la guerra, chiedere l’intervento dell’Onu, che sia presente al tavolo delle trattative”. Poi si è congedato dalle banalità per inoltrarsi nel campo dialettico dei paradossi: “La strada non è l’invio delle armi, ma il ricorso alla massima diplomazia. Non possiamo accettare la guerra come strumento di relazione tra Stati”.

Se si esprime dissenso sull’uso delle armi per logica si dovrebbe condannare esplicitamente chi ne ha fatto uso per primo, violando la sovranità di uno Stato confinante, e non appellarsi al disarmo della popolazione assediata. Non basta la convocazione di una piazza irenica per disinnescare i tiranni, soprattutto se i fautori della cerimonia pacifista sono appesantiti dal pregiudizio ideologico verso la Nato e stentano a schierarsi senza ipocrisie dalla parte del giusto, che è rappresentato dalla volontà della popolazione ucraina di dichiararsi indisponibile a sacrificare la propria libertà e a sottomettersi ai disegni egemonici dell’autarca moscovita. La pace non si ottiene somministrando ai popoli pozioni di retorica miscelata con dosi di ideologia irrancidita, perché tale intruglio dialettico potrebbe essere letale per le comunità su cui incombe la minaccia tentacolare di regimi famelici.

Andrea Amata 7 marzo 2022

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