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Quando la Thatcher bacchettava l’Europa

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L’8 aprile 2013 ci lasciava Margaret Thatcher e vogliamo così celebrare l’anniversario della sua morte proponendo uno dei suoi più illuminanti discorsi sull’Europa. Il 20 settembre 1988 al Collegio d’Europa di Bruges la lady di ferro descrisse in modo chiaro quello che era il suo modello di Europa, totalmente diverso dall’Unione europea dei burocrati che oggi, ahinoi, ci ritroviamo (traduzione tratta da Margaret Thatcher: Il discorso di Bruges – StoriaLibera).

Signor Presidente, lei mi ha invitata a parlare sul tema della Gran Bretagna e dell’Europa. Forse dovrei congratularmi con lei per il suo coraggio. Se si prestasse fede ad alcune delle cose dette e scritte in merito alle mie opinioni sull’Europa, dovrebbe sembrare un po’ come invitare Gengis Khan a parlare sulle virtù della coesistenza pacifica! (…) L’Europa non è la creazione del trattato di Roma. Tanto meno l’idea europea è proprietà di qualsiasi gruppo o istituzione. (…) La Comunità europea appartiene a tutti i suoi membri. Deve rispecchiare le tradizioni e le aspirazioni di tutti i suoi membri.

E mi permetta di essere abbastanza chiara. La Gran Bretagna non sogna di qualche accogliente, isolata esistenza ai margini della Comunità Europea. Il nostro destino è in Europa, come parte della Comunità. Questo non vuol dire che il nostro futuro è solo in Europa, ma neppure lo è quello della Francia o della Spagna o di un qualsiasi altro membro. La Comunità non è però un fine a se stessa. E non è un dispositivo istituzionale che deve essere costantemente modificato secondo i dettami di un concetto intellettuale astratto. Né si deve sclerotizzare in una regolamentazione senza fine. La Comunità Europea è uno strumento pratico attraverso il quale l’Europa può garantire la futura prosperità e la sicurezza della sua gente in un mondo in cui ci sono molte altre nazioni potenti e gruppi di nazioni. Noi europei non possiamo permetterci di sprecare le nostre energie in controversie interne o arcani dibattiti istituzionali. (…)

1. Cooperazione volontaria tra Stati sovrani

Il mio primo principio guida è questo: la cooperazione attiva e volontaria tra stati sovrani indipendenti, è il modo migliore per costruire una Comunità Europea di successo. Cercare di sopprimere le nazionalità e concentrare il potere al centro di un conglomerato europeo sarebbe altamente dannoso e comprometterebbe gli obiettivi che cerchiamo di raggiungere. L’Europa sarà più forte proprio perché ha la Francia in quanto Francia, la Spagna in quanto Spagna, la Gran Bretagna in quanto Gran Bretagna, ciascuno con i propri costumi, tradizioni e identità. Sarebbe follia cercare di costringerli in una sorta di personalità europea tipica. (…) Lavorare a più stretto contatto non richiede che il potere sia centralizzato a Bruxelles o le decisioni siano prese da una burocrazia designata. (…) Certamente vogliamo vedere l’Europa più unita e con un maggiore senso di uno scopo comune. Ma deve essere in un modo che preserva le diverse tradizioni, i poteri parlamentari e il senso di orgoglio nazionale nel proprio paese; perché queste sono state la fonte di vitalità dell’Europa attraverso i secoli.

2. Incoraggiare il cambiamento

Il mio secondo principio guida è questo: le politiche comunitarie devono affrontare i problemi presenti in un modo pratico, per quanto difficile possa essere. Se non siamo in grado di riformare le politiche comunitarie che sono palesemente sbagliate o inefficaci e che giustamente causano inquietudine pubblica, allora non potremo ottenere il sostegno dell’opinione pubblica per lo sviluppo futuro della Comunità. (…)

3. Un’Europa aperta alle imprese

Il terzo principio guida è la necessità di politiche comunitarie che incoraggino il fare impresa. Se l’Europa vuole prosperare e creare i posti di lavoro del futuro, l’impresa è la chiave. La struttura di base è già in essere: il Trattato di Roma stesso è stato inteso come una Carta per la libertà economica. Ma non è questo lo spirito con cui è sempre stato letto, ancora meno applicato. La lezione della storia economica dell’Europa negli anni ‘70 e ‘80 è che la pianificazione centralizzata e un controllo capillare non funzionano mentre invece sforzo personale e l’iniziativa funzionano.

Un’economia controllata dallo Stato è una ricetta per bassa crescita e che la libera impresa in un quadro di diritto porta risultati migliori. L’obiettivo di un’Europa aperta all’impresa è la forza motrice dietro la creazione del mercato unico europeo nel 1992. Ottenendo l’eliminazione delle barriere, rendendo possibile per le aziende di operare su scala europea, siamo in grado di meglio competere con gli Stati Uniti, il Giappone e le altre nuove potenze economiche emergenti in Asia e altrove. E questo significa agire per liberare i mercati, agire per ampliare le scelte, agire per ridurre l’intervento del governo. Il nostro obiettivo non dovrebbe essere una sempre più dettagliata regolamentazione da parte dei governi centrali; il nostro obiettivo dovrebbe invece essere la deregolamentazione e l’eliminazione dei vincoli sul commercio. (…)

Bce

Per quanto riguarda le questioni monetarie, lasciatemi dire questo. La questione chiave non è se ci dovrebbe essere una Banca Centrale Europea. I requisiti immediati e pratici sono: – attuare  l’impegno preso dalla Comunità per la libera circolazione dei capitali – in Gran Bretagna, noi l’abbiamo; – realizzare l’abolizione del controllo dei cambi nella Comunità – in Gran Bretagna, lo abbiamo abolito nel 1979; – stabilire una reale liberalizzazione del mercato dei servizi finanziari nel settore bancario, assicurativo, investimenti; – e fare un maggior uso dell’ECU [unità di conto europea] (…) Questi sono i veri requisiti perché sono ciò che le aziende e l’industria comunitaria  hanno bisogno per poter competere efficacemente nel resto del mondo. E sono ciò che il consumatore europeo vuole, perché grazie a questi saranno ampliate le sue scelte e abbassati i suoi costi. (…)

Frontiere

È la stessa cosa riguardo le frontiere tra i nostri paesi. Naturalmente, noi vogliamo rendere più facile per le merci attraversare le frontiere. Naturalmente, dobbiamo rendere più facile per le persone viaggiare in tutta la Comunità. Ma è una questione di semplice buon senso che non possiamo assolutamente abolire i controlli alle frontiere se vogliamo anche proteggere i nostri cittadini dalla criminalità e fermare il movimento di farmaci, di terroristi e degli immigrati irregolari. (…) Se vogliamo avere uno statuto societario europeo, esso dovrebbe contenere il minimo di norme. E certamente noi in Gran Bretagna ci batteremmo contro i tentativi di introdurre il collettivismo e il corporativismo a livello europeo (…).

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