Un giorno dovremo pur cominciare a denunciare la politica manageriale per quella che è e cioè una sciagura salita dagli anni Ottanta del neoliberismo americano con cui si pretendeva di porre fine agli sprechi e disservizi del passato gestendo le istituzioni come le aziende. Non hanno arginato niente e, in mano ai manager strapagati per distruggere tutto quello che toccavano, le malagestioni anche nel pubblico sono dilagate, come i 25 miliardi bruciati nella gestione pandemica a suon di appalti e trovate spericolate, se ha ragione la Corte dei Conti: ma niente paura, hanno fatto lo scudo erariale, così non ci va di mezzo nessuno ovvero paga Pantalone con un bell’aggravio fiscale. Molto, molto manageriale come politica! Quanto a dire la fine della politica, consegnata ai tecnocrati. Che a me viene in mente quel capotreno in pensione che un giorno in viaggio, anzi in paralisi per l’ennesima misteriosa causa, mi sussurrava: lei lo sa il perché di tutti questi disastri? Troppi manager e poca gente che sa ancora fare questo mestiere.
I manager di prima si chiamavano megadirettori ma avevano il solito vizio, intascare il proprio e incolpare i sottoposti dei disastri, come il duca conte Semenzara che siccome dilapidava al casinò i soldi della megaditta, odiava Fantozzi: “Menagramo di un menagramo!”. La politica fatta a industria, la megalopoli come un’azienda, specie Milano, città manageriale, dalla Moratti a Sala il quale, messo alle strette sulla disastrosa amministrazione della sicurezza, bofonchia: “Pensino piuttosto a pagar meglio i carabinieri”. E che c’entra? Come chiedere a uno che ore sono e sentirsi rispondere: giovedì. Nondimeno, gaffe clamorosa: un sindaco che considera le forze dell’ordine alla stregua di mercenari o, managerialmente, dei barboni, dei menagrami! Magari senza accorgersene, ma peggio mi sento!
Il primo manager cittadino di Palazzo Marino cerca di scantonare come l’omologa parigina, questa incredibile Hidalgo che per la solita idiozia improntata a populismo socialista concede un teatro a duecento africani i quali lo occupano e lo riducono un accampamento; e allora tenta di cavarsela dicendo che lei non li tocca, deve pensarci il governo e in ogni caso è colpa delle ingiustizie sociali.
Anche il nostro sindaco quanto a deliri non ci va leggero: Rami, il maranza caduto in un inseguimento, “non sarà stato un santo” dice “ma aveva in casa la bandiera italiana”: e allora? Offuscato da una demagogia patetica, Sala non si accorge che se uno che in meno di un’ora ha spacciato, rapinato, usato un coltello, forzato un posto di blocco e infine perso la vita per colpa di un compare su una moto, questo è sicuro e tragico segno di disfatta. Ma per non vederla occorre precisamente santificare chi infrange la legge a prezzo di delegittimare chi era tenuto a fermarlo. Che bisogno c’era di rincorrerli, bastava prendere la targa, la spara grossa il sindaco e con lui il suo incaricato alla sicurezza, che è più grave perché è l’ex capo della polizia, Franco Gabrielli. Affermazioni prive di senso da cui deriva la logica manicomiale che segue: se una pattuglia insegue i criminali, i veri criminali sono quelli della pattuglia perché hanno applicato la legge anziché tradirla e i veri eroi sono i devianti con bandiera tricolore, basta rinunciare ad acciuffarli, e tutto va a posto. Un modo di pensare che sarà pure manageriale ma si commenta da solo: una metropoli europea che si vota al garantismo illegale per chi la strazia? Ovvero si arrende? Senza contare le conseguenze agli occhi del mondo, Milano nel ridicolo e nel grottesco, subito invasa da orde di barbari attirati dal diritto di saccheggio. “Rami non era un santo ma era italiano”: non lo era, e comunque questa la chiami integrazione?
E allora come spiega, il sindaco, il pieno controllo metropolitano dei maranza, le violenze rituali di san Silvestro, la polizia provocata al grido “qui comandiamo noi”, il Duomo conquistato, i quartieri come il Corvetto messi a ferro e fuoco? Il sindaco non spiega niente, occhio non vede cuore non duole, al massimo ammette, col faccino da fauno tutto stiracchiato, che “in posti come il Corvetto e San Siro ci sono delle criticità, ci stiamo lavorando”. Delle criticità? Ma se sono 9 anni che ci lavora e la situazione va degenerando! E questo pretende di dire agli sbirri di incrociare le braccia? Allora perché va in auto con la scorta invece che in metrò? La propensione allo scaricabarile dei manager è sfacciata, e finisce col travolgere le buone ragioni: non tutto il casino europeo e milanese va attribuito al sindaco, sarebbe stupido e ingeneroso sostenerlo, ma l’unica cosa che potrebbe rinfacciare al governo e cioè un lassismo perdurante, l’utilizzo delle forze di polizia a meri fini di contenimento passivo a costo di lasciarsi massacrare, il sindaco in calzini arcobaleno non la dice. La dicono le divise esasperate, ma lui no. Perché? Perché gratta il manager e trovi il politico, perché alla fin fine anche quelli col testone a salvadanaio guardano oltre e Sala dice che “ha ragione Elly Schlein”, la segretaria cui fare le scarpe o strappare la candidatura.
In cosa la Schlein, per dire la sinistra a metà fra ideologia e calcolo, avrebbe ragione, è presto detto: nel tutelare il potenziale elettorato maranza scaricando nel disprezzo e nella persecuzione giudiziaria i fantaccini che rischiano la pelle per una paga da barboni. Demansionare la polizia! Scelta irresponsabile che a New York come a Chicago ha immediatamente portato ad una esplosione del crimine, raddoppiato e triplicato. E poi ci vogliono decenni per riportare la situazione sotto controllo. E si vuole accada anche qui, in una metropoli palesemente allo sbando? Che simili bestialità le porti avanti una Salis all’Askatasuna si può capire, ma che escano dalla bocca di un Sala a Palazzo Marino non si può sentire. O, come si dice a Milano, “un brutto lavoro”.
Max Del Papa, 16 gennaio 2025
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