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Referendum green pass, perché è un clamoroso autogol - Seconda parte

In tale quadro degradato (sul piano politico, istituzionale, economico, mediatico e culturale), un referendum avrebbe quasi certamente tratti plebiscitari simili a quelli di tante consultazioni popolari tra età napoleonica e metà Ottocento: un semplice strumento del potere per chiudere la bocca a ogni obiezione e opposizione. In quelle circostanze il voto era soltanto un rito dall’esito scontato, anche perché i brogli erano la regola: come quando nel 1866 la cessione del Veneto dalla Francia al Regno d’Italia fu ratificata da un plebiscito il cui esito oppose 641.758 “sì” e 69 “no”. È difficile pensare che oggi la situazione sarebbe del tutto diversa.

Referendum impresa rovinosa

Da tempo sono uno strenuo difensore degli strumenti di democrazia diretta e nel mio volume sulla Svizzera (Un’idea elvetica di libertà) ho cercato di evidenziare come la peculiarità di quel modello poggi anche sul costante coinvolgimento dei semplici cittadini nell’elaborazione e nell’abrogazione delle norme. Al tempo stesso, il ricorso al voto popolare in Svizzera ha luogo entro un quadro di poteri quanto mai localizzati: così che ogni cittadino – entro cantoni spesso di minuscole dimensioni – ha effettivamente una propria capacità d’incidere e di pesare. Pure da noi bisognerebbe provare a seguire questa strada, immaginando una rinascita della società civile che passi da un nuovo protagonismo delle diverse realtà locali.

Senza questa rinascita dei territori e delle comunità, in Italia ogni ricorso a forme di democrazia diretta rischia di offrire soltanto ulteriori opportunità agli uomini di potere e agli interessi che si sono coalizzati attorno a loro. Forse è bene fermarsi un attimo, riflettere attentamente e confrontarsi con serenità, allora, prima di lanciarsi in un’impresa che rischia di risultare generosa e rovinosa al tempo stesso.

Carlo Lottieri, presidente di “Nuova Costituente”, 20 settembre 2021

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