Politica

Repubblica mi attacca su Craxi. Ma ha preso un bidone

Il quotidiano e le critiche al libro su “Mani Pulite”. Forse troppo poco benevolo verso la “falsa rivoluzione” dei giudici

© STILLFX tramite Canva.com

C’è poco da fare: Repubblica è sempre Repubblica. E i “repubblichini” convinti, per interesse o per vocazione, proprio non ce la fanno a scrollarsi di dosso quell’indole moralistico-manettara che da sempre li identifica e li caratterizza. Persino dinanzi ai fatti, alle evidenze, alla Storia.

Succede così che i fan sfegatati di quella “Repubblica giudiziaria” assoluta protagonista di quest’ultimo trentennio, da Tangentopoli in poi per intenderci, prendano di mira il mio ultimo libro (Sigonella-Hammamet. L’affaire Craxi: tra menzogne, verità e falsi miti), che, tra l’altro, analizza in chiave critica proprio la controversa stagione di Mani pulite. Il motivo? A loro dire, il testo sarebbe troppo poco benevolo nei confronti della “macchina della giustizia, bersaglio polemico preferito dall’autore”, e, al contempo, troppo benevolo nei confronti di Bettino Craxi, colpevolmente indicato dal sottoscritto come “l’ultimo grande statista dell’Italia repubblicana”.

Un’espressione, questa, che, al pari di quella da me associata al fenomeno Mani pulite, ovverosia “falsa rivoluzione” figlia della “Santa Alleanza finanziario-mediatico-giudiziaria”, si è rivelata parecchio indigesta per i palati fini e gli stomaci deboli delle penne del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, da sempre espressione di quel potere finanziario protagonista acclarato nelle ambigue vicende del 1992. Ma non per Repubblica, evidentemente, che, ancora una volta, getta alle ortiche una ghiotta occasione per fare i conti con il proprio passato e con quello del nostro Paese.

Piuttosto che provare a rileggere la Storia con lo sguardo critico e de-ideologizzato di chi osserva alcuni tra gli eventi più controversi dell’Italia repubblicana con un punto di vista ormai più che trentennale, il quotidiano che fu di Carlo De Benedetti (anch’egli, non a caso, citato nel libro per talune vicende risalenti al 1991) preferisce ergersi a baluardo in difesa del potere giudiziario, negando la tesi, anche questa ampiamente appurata, della “regia americana”, e sposando dichiaratamente quella della “rivelazione benefica”.

Quanto di benefico ci possa essere nella slavina turbo-giustizialista che tre decenni or sono rase letteralmente al suolo la Prima Repubblica e i suoi protagonisti non è dato sapersi. Quel che è certo, è che Repubblica non ama particolarmente chi, come il sottoscritto, “lancia strali contro la macchina giudiziaria” utilizzando uno “linguaggio assertivo”, uno “stile aggressivo” e orrendi neologismi, come “manipulitismo”.

A quest’ultima constatazione, avanzata sprezzantemente dal quotidiano appartenente al gruppo Gedi, rispondo, e qui mi accingo a concludere, che l’unica vera aggressione su cui Repubblica dovrebbe concentrarsi è quella che il potere giudiziario sferrò a suo tempo contro il primato della politica, condannata, da quel momento in poi, ad una condizione di evidente subalternità alla magistratura. Alla tesi dell’assertività del linguaggio contrappongo invece quella della “verità del linguaggio”. Una verità per qualcuno assai scomoda, ma oramai sotto gli occhi di tutti. Eccetto, ovviamente, di quanti, imperterriti, si ostinano ancora a non voler vedere.

Salvatore Di Bartolo, 7 marzo 2025

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