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“Retorica anti-Lgbt”. Perché la censura Ue sull’Italia è una follia

Il Parlamento Europeo ha condannato l’Italia per la propria “retorica anti-Lgbtiq”. Perché l’emendamento è una falla

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“Retorica anti-lgbt, anti-diritti, anti-gender”. Si fonda su questa motivazione la nuova condanna che l’Italia, insieme a Polonia e Ungheria, ha riportato dal Parlamento Europeo. Strasburgo ha approvato un emendamento (282 voti a favore, 235 contrari e 10 astenuti), presentato dalla delegazione dei Verdi, concernente una relazione sulla depenalizzazione universale dell’omosessualità. Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, ovviamente, hanno dato via libera all’emendamento, affiancati da Sinistra Italiana.

Nel documento, si legge la preoccupazione “per gli attuali movimenti retorici anti-diritti a livello globale, alimentati da alcuni leader politici e religiosi in tutto il mondo, anche nell’Ue”. Secondo la maggioranza dei membri del Parlamento Europeo, “tali movimenti ostacolano notevolmente gli sforzi volti a conseguire la depenalizzazione universale dell’omosessualità e dell’identità transgender, in quanto legittimano la retorica secondo cui le persone Lgbt sono un’ideologia, anziché esseri umani”.

Il punto centrale, però, è comprendere su quali basi dovrebbe fondarsi questa condanna. Molti siti online l’hanno già definita una “condanna per la retorica anti-gender”, che di per sé rappresenta già un paradosso: che cosa si intende per retorica? Quali atti del governo italiano andrebbero a discriminare la popolazione Lgbt? Quali movimenti risulterebbero essere omofobi? Insomma, entriamo in un campo puramente soggettivo, in cui l’ala più estrema della sinistra ci annoierebbe con discorsi politically correct e radical chic, così come avviene per l’eterno “allarme fascismo” paventato dai salotti del progressismo.

O ancora, l’Italia sarebbe un Paese contro la comunità Lgbt perché il Ddl Zan è naufragato? Se sì, allora dovremmo ricordare che, ai tempi, non c’era Giorgia Meloni al governo. Al contrario, il Bel Paese era trainato da Mario Draghi e la maggioranza parlamentare era in mano al centrosinistra. Insomma, se l’approvazione della legge Zan avrebbe escluso l’Italia dalla condanna del Parlamento Europeo, allora è proprio la sinistra a dover fare mea colpa, non essendo riuscita a far passare un disegno di legge con le aule di Camera e Senato sotto il proprio controllo.

Per approfondire:

Un altro elemento da analizzare è l’origine di questo emendamento, che nasce dal “caso Uganda”. Lo Stato africano è stato oggetto di una recente proposta di legge volta a condannare l’omosessualità con la pena di morte o fino a 20 anni di carcere. L’Eurocamera ha fermamente ribadito che tale disegno “viola la Costituzione ugandese, gli obblighi dell’Uganda nei confronti della Carta africana dei diritti umani e dei popoli e il diritto internazionale”, esprimendo “preoccupazione per il possibile impatto del disegno di legge nella regione africana, data la crescente tendenza a criminalizzare le persone Lgbt in alcune parti dell’Africa, come Ghana, Niger e Kenya”.

Il punto è il seguente: com’è possibile che un Paese come l’Italia possa essere condannata e associata ad uno Stato come l’Uganda, dove si può arrivare alla pena di morte per la sola “promozione dell’omosessualità”? Si può essere anti-meloniani quanto si vuole, ma affermare che vi sia un rischio di questo tipo nel Bel Paese rappresenta pura follia. Eppure, il Parlamento Europeo ha optato per il cumulo: Africa, Europa, Polonia, Uganda, Ungheria ed infine Italia. Tutto insieme, senza distinzioni. Rimane solo “l’agguato” della sinistra, pronta ad infangare il nome dell’Italia in Ue  solo per un’operazione di scaricabarile contro Giorgia Meloni.

Matteo Milanesi, 21 aprile 2023