Politica

Riconoscimento facciale, la proposta illiberale di Piantedosi

L’idea del ministro dell’Interno rischia di minare la privacy e la libertà di movimento dei cittadini

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Ci risiamo. I tecnici al governo sembrano proprio non portare bene al centrodestra. In principio fu Orazio Schillaci, ministro della Salute dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, a proporre una rigorosissima stretta sul fumo anche all’aperto. Una scelta profondamente illiberale, che incarna un modello di Paese in cui lo Stato si propone di controllare dall’alto e con modi autoritari qualsivoglia aspetto della vita del cittadino. Persino la libera decisione dell’individuo di fumare una sigaretta in un parco. Ma Schillaci, evidentemente, non è il solo a soffrire di manie di controllo.

Altro tecnico, altra proposta autoritaria. Questa volta è il turno del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che ha recentemente aperto alla possibilità di introdurre lo strumento del riconoscimento facciale in alcuni luoghi pubblici, quali stazioni, ospedali ed aree commerciali, delle grandi città metropolitane, nonostante in Italia sia in vigore una moratoria che vieti simili impianti nelle aree pubbliche fino al 31 dicembre 2023. “La videosorveglianza è uno strumento fondamentale”, ha spiegato Piantedosi. “La sua progressiva estensione è obiettivo condiviso con tutti i sindaci. Il riconoscimento facciale dà ulteriori e significative possibilità di prevenzione e di indagine. È chiaro che il diritto alla sicurezza va bilanciato con il diritto alla privacy. C’è un punto di equilibrio che si può e si deve trovare. Proprio in questi giorni abbiamo avviato specifiche interlocuzioni con il Garante per trovare una soluzione condivisa”, ha aggiunto il ministro parlando altresì degli interventi da realizzare nelle tre grandi città metropolitane, Roma, Milano e Napoli, e ribadendo la sua ferma volontà di “aumentare la presenza delle forze di polizia nei luoghi ad alta frequentazione: soprattutto le stazioni, ma anche ospedali e aree commerciali”.

Da una parte l’esigenza di maggior controllo, nell’ottica della tutela della sicurezza dei cittadini, dunque. Diritto sacrosanto, per carità. Dall’altra il rispetto della privacy degli stessi. Della privacy, ma non solo. Perché la sorveglianza biometrica rischia potenzialmente di minare non pochi diritti fondamentali dell’individuo, la libertà di movimento su tutti. Ragion per cui, la questione non può e non deve limitarsi a delle semplici interlocuzioni con il Garante della privacy, come prospettato dallo stesso ministro Piantedosi. La questione, infatti, è spiccatamente politica, in quanto potrebbe comportare dei risvolti socio-politici non del tutto irrilevanti per la società in cui viviamo. E lascia peraltro spazio a numerosi interrogativi che in questa fase è doveroso porsi. Davvero siamo disposti a rinunciare ad una parte consistente delle nostre libertà in nome della sicurezza? Siamo certi che l’esigenza di tutelare la sicurezza del cittadino non sia in realtà un modo per controllarne ogni aspetto della vita? Ed ancora, dopo aver accettato una simile limitazione, si potrà ancora tornare indietro?

La sensazione di chi scrive è che ciò non sarà più possibile. Che si giungerà inevitabilmente ad un punto di non ritorno. Che, così facendo, lo Stato arriverà progressivamente a comprimere i diritti del cittadino e ad assumere un controllo spropositato sulla vita di ognuno di noi. Un po’ come accaduto in epoca Covid, per intenderci. Una fase storica tristemente nota nella vita della nostra nazione per l’eccessiva compressione delle libertà fondamentali dell’individuo a cui si è assistito. Un’esperienza che, evidentemente, non ci ha insegnato nulla. Purtroppo.

Salvatore Di Bartolo, 13 maggio 2023

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