Cultura, tv e spettacoli

Sanremo, il delirio è servito: ora vogliono le quote rosa in finale

Il pianto di Giorgia e l’ira di Elodie: nessuna signora o signorina tra i primi cinque. Ma è il televoto a decidere, non il sesso

giorgia Sanremo

La parola giusta l’ha detta il diretto interessato, Olly. “Ciao pà, ciao mà, è assurdo quello che è successo ma è successo”. Assurdo come uno scherzo del destino o un miracolo, se è lecito scomodare la teologia per le minima immoralia. Uno che non è mai uscito fuori, che bisogna andarselo a cercare in Rete, lo prendono e gli fanno vincere il Festival di Sanremo dai 15 milioni a sera e dei 100 milioni di business, la massima rassegna spettacolare dell’intrattenimento di regime.

Qualcosa di impensabile per i canoni estetici e finanche imprenditoriali così come li conoscevamo, qualcosa che sfugge alla memoria identitaria dei meccanismi dello svago pubblicitario. Più nessuna gavetta e nessuna penetrazione nel pubblico, si fabbrica un cantante partendo dalla confezione, in laboratorio, come un vaccino o un dentifricio, e lo si impone a scatola chiusa. Anche il podio di questo Sanremo è assurdo, è incatalogabile, incomprensibile, refrattario alla decodifica dell’esperienza acquisita che risulta improvvisamente inservibile, tutti i parametri sovvertiti, riscritti, padroneggiati da chi li ridefinisce ma sconcertanti come caverna platonica: hanno preso tre che più diversi non potrebbero essere.

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Il primo ha dietro la potentissima Marta Donà che ha vinto le ultime 5 edizioni e adesso dovrà per forza darsi una calmata, il secondo è gestito dall’ancient régime di Caterina Caselli, in declino ma ancora in grado di piazzare i suoi colpi di coda, il terzo fa da solo, si autoproduce da artigiano incatenato all’aspra Calabria; il primo è meticolosa costruzione a tavolino del sistema della musica commerciale, il secondo una falsa scheggia impazzita, un finto mutante partito dal giro alternativo, il terzo uno che ha mantenuto una coerenza d’autore più o meno di nicchia; il primo, largamente annunciato da quelli che sanno tutti i complotti, con un look ostentatamente anonimo, da scaricatore di pesce o tecnico di caldaie, il secondo sofisticatamente pitturato da capo a piedi da Gucci, il terzo fedele al profilo basso ma curato della nouvelle vague cantautorale, non più tanto nouvelle visto che è uscita all’inizio degli anni Duemila; i primi due votati dalle fasce giovani e giovanissime che armeggiano coi televoti e le piattaforme, cosa impensabile per il terzo che ha un pubblico dai 40 in su, per niente incline a sfinirsi nella missione di farlo salire in classifica. Da cui l’unica spiegazione razionale: lo hanno mandato terzo, Brunori, per rifarsi la verginità, avete visto, diamo spazio anche a uno che le canzoni le fa come Cristo comanda. L’unico qui con Gabbani.

Chi scrive tenta analisi, ricostruzioni tra il sociopolitico e il commerciale-pubblicitario, ma da uomo novecentesco può tracciare connessioni, ricostruire contesti senza nascondersi che le categorie etico-estetiche così come le strategie manageriali lo oltrepassano e almeno in parte gli sfuggono. Tutto inedito e inafferrabile per uno cresciuto nei decenni della ricostruzione canterina consumistica, del punk, della contestazione, delle pretese o pose d’impegno. Quello che in compenso resta uguale è la reazione dei trombati, da stucchevole a rognosa. Il pianto dirotto di Giorgia che non era di riconoscenza – le è rimasto un premietto della società delle connessioni – e men che meno di commozione, ma un pianto infantile, pianto antico isterico di chi si sente defraudato. Il ritegno quasi risentito di personaggi come Fedez, quarto, e Lauro, settimo, che si comportano come martiri di Belfiore, “ed io perdono chiunque poté in queste faccende o in altro danneggiarmi. Così Dio mi perdoni”, quando se ci fosse un Dio dei musici questi non potrebbero salire su quel palco neanche con la scopa in mano.

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Il meglio lo dà Elodie, “nervosa” al punto da sbandierare un fallo ricreativo con una rivista glamour. Ciascuno si rilassa a seconda delle attitudini, delle risorse analitiche e culturali, ma non deve esserle bastato se al cospetto della Venier era ancora carica a pallettoni. Finiti i sorrisi sempre un po’ pasoliniani dell’aspettativa, vien fuori tutto il livore della delusione. Polemizza con un inviato molesto, che cerca rogne e le trova, ma più in generale con l’intera classe giornalistica da cui evidentemente aspetta e tollera solo lusinghe, interviste concordate sull’agiografico. Si sa, noi troviamo un senso, una funzione esclusivamente apostolica o facchinesca, se ricordiamo di avere una dignità non la passiamo liscia. Ma è colpa nostra, solo colpa nostra. Elodie mostra, o finge, di difendere Giorgia, tagliata fuori dal podio, per perorare se stessa con argomenti da par suo, cioè strampalati, patetici: “Ah, neanche una donna nei primi cinque!”.

Ancora? Sì, ancora le quote rosa a Sanremo, certo, che vi pare? Laddove Giorgia stessa arriva a un delirio se possibile più estremo e desolante: “Dobbiamo arrivare a quel momento in cui non ci stupiremo o faremo caso se nei primi cinque in classifica ci saranno solo uomini o donne, fino a quel momento vuol dire che abbiamo da fare”. Se è così, lei dovrebbe star contenta, altro che la lacrimosa disillusa. Per dire che uomini e donne è uguale, anzi non è, non c’è distinzione. Brava, allora percepisciti vincitora, e in ogni caso perché non vi mettete d’accordo? Una rivendica il femminismo vibratorio, l’altra il superamento irenistico. Accade quando le cantanti aprono bocca per far altro, per esempio articolarsi in prospettive di desolante conformismo dell’idiozia.

Due romane, due stili: Giorgia è snobbetta, perbenista, più immediatamente antipatica e tenta l’articolazione paraintellettuale, Elodie resta al popolano viscerale dell”ahò, ah bello, viè fori che te corco. Giorgia col vibratore impugnato come un manifesto programmatico giammai, l’altra completamente a suo agio; le rimette d’accordo l’astio per donna Meloni, se quella è una donna, ma su tutto il resto rimangono più divise delle correnti der Piddì. “Ma nun scrivete cazzate, ma vedi d’annattene, ma te credi che me so’ rimbambita, ma te pare che sto a perde tempo co te”: non c’è niente di meglio di una trombatura in gara per tirar fuori la veracità repressa; per tutto il resto, c’è il vibro. Sarà contento il fidanzato, Iannone, però ancora le quote rosa a un Festival dove per poco non vince un ragazzino che è un ricalco, una summa teologica della grande stagione del glam polisessuale, essù, ennamo, abbasta, damme tregua Elodì, nun m’angoscià.

Max Del Papa, 17 febbraio 2025

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