Il Sanremo Venti Venticinque nasce nella filosofia morale che segue: alcuni tipi sul bamboccione andante che se la tirano da gangster per mano a mamma manager fanno filastrocche dove violentano e squartano le donne e le colleghe femministe li difendono: “Ah, è come andare al cinema”, Luin Villain; “Ahò è contro il patriarcato bianco tossico”, Elodie. E il conduttore lampadato, pilatesco: “Io unsonnullah” e si dispiace per l’abbandono di tal Killa che essendo indagato per associazione a delinquere di stampo ultrà ha preferito battersela.
Si potrebbe chiuderla qui, il resto è business. Ma siccome Sanremo lo guardano tutti, per primi i rompicoglioni che vengono a dirti che loro non lo guardano dai tempi dell’Unità d’Italia, andiamo avanti, sempre nel presupposto, precisato una tantum a futura legenda, che ce ne occupiamo, doverosamente, professionalmente, dolorosamente, in quanto articolazione di potere, strumento armato di regime. Ci stanno i provocatori di regime come la Lucarelli, ci vanno i normalizzati di regime come il giovane vecchio Cattelan, ci passano le vittime omertose di regime, l’altr’anno Allevi, questa volta Bove, il calciatore della Fiorentina stramazzato improvvisamente, ma niente paura, il vaccino lo ha salvato, mica fottuto. E ci sarà anche la ex modella Bianca Balti reduce da un turbocancro che è l’unica ragione di invito visto che non canta, non balla, non ha mai presentato una recita parrocchiale. Basta tacere, no? E tacere è un po’ mentire. Sanremo è il nostro Usaid, una fabbrica di propaganda per diffondere lo scolo del woke perbenista, il demonismo moralistico imbellettato da Colosseo.
Lì dentro nessuno è innocente, nessuno. Non i “cantanti” sedicenti, non i presentatori conformisti, non gli impresari e faccendieri, anelli di congiunzione con la politica di potere, non chi organizza, nemmeno chi svuota i cestini, poveri cristi sì ma lottizzati anche loro. Ne deriva una operazione molto al di sotto dell’abusata percezione di Flajano nel ’68, talmente sfruttata, anche da chi scrive, che non la riciclo più (cercatevela). Nel tempo di Flajano Sanremo era effettivamente spettacolo lercio ma dal gradimento spontaneo, istintuale per le masse, adesso è una sorta di allucinante chiamata alle armi, di oro alla patria, di dovere civile, se non lo vedi sei come quelli che rifiutavano il vaccino, un no sanremix, un paria, una rogna sociale, un untore. Il battage comincia il giorno dopo l’ultima edizione e finisce il giorno di apertura della nuova edizione; dura un anno. E più infimo è il livello e più la propaganda gonfia. Sono cantanti vaccinali, sono lo scarto dell’arte, non ce n’è che si salvi compresi i vecchi ronzini e chi potrebbe salvarsi, rarissimi, uno o due al massimo, affonda nelle peste di un contesto artisticamente ignobile. Ah, la vanitas suicida! Ma forse ci stanno sotto sinergie a noi ignote.
“Beh? Basta non guardarlo!”. Ma che dite? Ti rovescia addosso la sua melma da ogni dove, i telegiornali ci aprono, ci chiudono, sospendono guerre e inondazioni, i giornali se ne riempiono al 100% in quanto pagati, sponsorizzati, che è il solito elegante eufemismo, patinate paginate di esegesi su una coppia chiamata Coma Cose, due che cercavano casa a Milano, di lusso, dicendo a chi gliela proponeva: sapete, noi siamo i Coma Cose. Sui pruriti di Clara, una di Varese, e su quelli si presume scomparsi di Marcella Bella, che la cantavamo in corriera con la maestra nel 1972, a 7 anni, e ancora qui sta, porcellanata, impermeabile al tempo, ad ogni tempo.
Per dire che bisogna riempire tutto col niente e neanche l’intelligenza artificiale più che tanto soccorre. Villain ha una maglia con scritto “Ma se non lo sai le parole feriscono”, a giudicar dalla sintassi influencer sarà una lirica dal suo striminzito canzoniere, però il compare Effe biascica, testuale: “prendi la tua troia le serve una museruola la scopo e poi si mette a piangere”. Così, a rima fumata, che solo a vederlo si direbbe che la “bitch” pianga per insufficienza di prestazione, al massimo, ma stiamo dicendo che il livello è questo, che il conduttore lampadato ha selezionato fior da letame, 5000 brani proposti, dicunt, tenendo conto degli equilibri discografici, politici, cavandone questa roba qua. Di conseguenza si parla d’altro, si riempie l’aria. E questo sarebbe l’evento principe della televisione di regime.
C’è una parola odiosa, anche per quanto è svalutata, ed è “fascismo“: ecco, per una volta sembra appropriata se per fascismo si intende l’enfasi baracconesca, il conformismo perbenista, obbligatorio e miserabile, lo svago imposto alla plebe che orrenda ringrazia, la volgarità pornografica del tutto, l’oscenità propagandistica in parata. Ovviamente non è questione di Meloni o Schlein, è ontologico, è in sé nel senso kantiano, è in re ipsa. Di fascista c’è anche, per forza di cose, la propensione a mentire, a millantare e ad esaltare: Sanremo è una armata di cartone, tutto fuor che spettacolo, non si parli di cultura, quelli in gara non sono cantanti ma manichini manovrati dalla divisione intrattenimento della politica, i “valori” come bandiere sbrindellate, la miseria aleggiante la stessa di tutte queste recite pornoparrocchiali di tutte le televisioni democratiche ma in Italia satura di un retrogusto rancido, putrefazione da basso impero, da provincia dell’impero, da fine impero.
Tutti sperano nell’effetto domino innescato da Trump ma l’Italia sanremese resta incapsulata nell’Europa anacronistica e farabuttesca e il Festival dei mestatori e dei cerei, dei cialtroni e dei maranza ne è riflessione totale e come prismatica. Non cambia, si ripete nella circolarità dell’inesorabile, nella fissità della morte che sembra viva, come gli ambasciatori di Holbein davanti ai quali aleggia la forma deformata di un teschio, è la vanità del mondo. E la vanità nutre se stessa divorandosi, anch’io ho un brano per il prossimo Sanremo Venti Ventisei e fa così: “Tro** di mer** spero che tu perda, mettiti in ginocchio ti sputazz dentro un occhio, woof woof mettiti il guinzaglio se non lo fai ti taglio sei solo una bitch è meglio che ti spicch bau bau”.
Sono sicuro che Elodie e Luin Villain faranno a catfight per duettare con me, brò brò.
Max Del Papa, 11 febbraio 2025
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