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Se la donna ammazza l’uomo, “ha fatto bene”

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In Russia, si sa, sono sempre eccessivi e così può capitare che un balordo depravato porti a casa della moglie, modella, una tipa conosciuta in un bar e le ingiunga di cucinare per loro due: scoppia un litigio, brutale, dall’epilogo forse annunciato: la giovane consorte che “accidentalmente” pianta una coltellata in pancia al marito, il quale spira poco dopo in ospedale.

Maschicidio

Questa la storia assurda di Lilia Sudakova, 26 anni, e Sergey Popov, talmente stilizzati da parere un racconto di fantasia (e chissà poi non emerga proprio questo). Tragedie della vita e dell’amara vita, si dirà. Certo. E si può anzi si deve rimarcare l’atteggiamento aberrante dell’uomo, un violento, a quanto è emerso, uno che aveva “lasciato vuota dentro” la giovane, bella compagna.

Non è obbligatorio, pertanto, dolersi della finaccia del bruto: un po’ meno lecita la comprensione che molte donne, su Facebook, ostentano per la vittima omicida: “Ha fatto bene”, “Non meritava di vivere”, “È legittima difesa”. Davvero? Qui, come spesso accade, il garantismo progressista comincia a fare acqua: come fai a conciliare la nonviolenza, a stigmatizzare “il clima da far west” con l’adesione alla vendetta privata a mezzo coltello da cucina? Come si combina la tutela della “vita umana”, secondo la ridondante formula, con la giustizia sommaria di genere?
“Grande modella, io avrei fatto lo stesso”.

Poi vai a vedere e son tutte restiamoumani, nonunadimeno. Sì, certo, la violenza sulle donne non pare riposare mai e a maggior ragione va braccata, denunciata, perseguita sempre – e merita severità assoluta, senza sconti, senza eccezioni, senza affidi in prova e facili riabilitazioni. Il che non dovrebbe però stiracchiare la morale fino a considerare “il maschio” come un sottouomo che si può tranquillamente accoppare in un tripudio di esaltazione bestiona.

Fanatismo rosa

Non è in discussione, qui, la reazione della moglie umiliata, esasperata, torturata, ma l’eccesso fanatico, ideologico per cui, a estremizzare la guerra (dei sessi, delle fazioni, delle idee), si finisce sempre a negare umanità all’altro. Un po’ come certe copertine di triste e ancor fresca memoria che giustapponevano il sacro migrante al presunto aguzzino Salvini, tenuto in fama di non umano, dalla vita “non umana”. Non si capisce perché lo sventramento di un uomo, per quanto infame, debba essere colto con una sorta di sbracato divertimento perché si tratta solo di “un maschio”: poi è questione di estensione etica: dove conducono le conseguenze di un simile approccio? La differente umanità su base sessuale porta a differenti sistemi di giustizia, a indulgenze ad hoc?

Ed è sempre questo il problema: che quando si estremizza una problematica, quando diventa una crociata delirante, non c’è poi modo di fermarsi. Un conto è la comprensione, cauta, meditata, per una donna umiliata, svuotata dentro, che ha risolto il suo vortice con un gesto estremo dal quale esce lei per prima annientata; un altro è il tifo ultrà, idiota, irresponsabile, la foja di sangue e di visceri pur di assecondare una convinzione insostenibile.

Proprio perché troppe sono le donne violentate, in ogni modo possibile, dal fisico alla psiche, non si può gettare ogni fatto tragico nell’acqua sporca del compiacimento, non si può invocare la legge del taglione sotto il vessillo dell’umanità. Arriviamo a dire che l’omicida ha senza dubbio le sue attenuanti, mentre chi dalla comfort zone della propria tastiera ne fa una Giovanna d’Arco della vendetta gender si guadagna qualche aggravante non richiesta.

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