Politica

Se l’atlantismo paga dazio

L’opinione di Giorgio Carta

Trump © George Robinson tramite Canva.com

Sapete bene come la pensiamo in questa nostra Zuppa sul ruolo degli americani nella Liberazione, ma un sito come il nostro è sempre aperto al dibattito.


Dazi del 34% sulle importazioni dalla Cina e 20% su quelle dall’Unione europea. Addirittura 46% per il Vietnam; 32% per Taiwan; 24% per il Giappone; 26% per l’India; 25% per la Corea del Sud. E ancora: 36% per la Thailandia; 31% per la Svizzera; 49% per la Cambogia e 10% per il Regno Unito. Un inguaribile ottimista potrebbe osservare che i “parassiti europei” sono stati trattati con un occhio di riguardo rispetto agli altri, ma è evidente che, dal punto di vista economico, ci aspettano lacrime e sangue.

Ecco il giorno della liberazione annunciato da Trump, dopo che «avvoltoi stranieri hanno fatto a pezzi il nostro — un tempo bellissimo — Sogno americano». Espressioni pesanti, ma non prive di quella brutale sincerità che spesso manca a noi europei, sempre impegnati a mediare e, forse, a difendere l’indifendibile. Le prime reazioni dei leader europei, infatti, sono state misurate: la Ue aveva già annunciato che avrebbe preso tempo prima di rispondere. Certo, governare non è come giudicare il mondo dal divano di casa e decisioni di questa portata hanno mille implicazioni che vanno ben ponderate, ma qualcosa ora deve succedere.

C’è un’Italia che da anni guarda con sempre meno riconoscenza ai liberatori del 1945. In passato, la tesi mi era sembrata estrema ed intrinsecamente ingiusta. Però, la verità storica, quella scomoda, è che la cosiddetta liberazione (che tale – giustamente – non era nelle prime intenzioni e che vi diventò solo dopo il sacrosanto, ma militarmente disonorevole armistizio) fu sì la fine di una dittatura, ma fu anche l’inizio di un protettorato mascherato. Ottant’anni di presenza militare, di condizionamento politico e di influenza culturale unidirezionale. Più che liberati, siamo stati occupati con il nostro consenso.

Non si tratta di revisionismo, ma di constatazione realista: quella liberazione, come tutte le liberazioni calate dall’alto, ha portato con sé un prezzo. E quel prezzo è stato, in parte, la nostra sovranità. Nessun dubbio, ovviamente, che l’alternativa rossa sarebbe stata ben peggiore se non tragica, anche solo per il fatto che, fra le altre cose, avevamo pure avuto la brillante idea di invadere la Russia attrezzati come per una scampagnata.

Ottant’anni dopo, ora che gli Usa ci considerano avvoltoi da scaricare per «rendere di nuovo l’America benestante», è arrivato il momento di prenderli in parola. Forse dobbiamo davvero chiudere una lunghissima fase storica e costruire tutti una vera liberazione: noi dalla loro tutela interessata, loro dalla nostra dipendenza velleitaria. Nessun addio, ma solo un divorzio consensuale, senza rancore, ma chiaro; perché, se la storia ci ha imposto una liberazione, la dignità oggi ci impone l’autodeterminazione.

Giorgio Carta, 3 aprile 2025

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