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Senza Salone del Mobile muore l’Italia

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La storia del Salone del Mobile, uno degli eventi più importanti dell’industria italiana, che per la seconda volta rischia di essere cancellato, testimonia come l’impresa può talvolta essere molto simile alla politica che tanto dileggia. Ma andiamo per ordine.

Mobilieri contro il Salone

Nei giorni scorsi il presidente del Salone, Claudio Luti, nonché fondatore e inventore della Kartell, ha annunciato le sue dimissioni dall’allegro consesso. I suoi soci non ne vogliono sapere di fare la manifestazione a settembre. Tanto per dare qualche numero, l’ultimo salone ha coinvolto quasi 1.500 espositori e ha portato in Fiera circa 300 mila visitatori: di cui il 60 per cento sono venuti dall’estero. Salone e Fuori Salone (l’iniziativa spettacolare ideata da quel genio che è Gilda Bojardi, da cui le imprese dovrebbero imparare la fibra) valgono circa 650 milioni e dieci volte di più 6 il fatturato generato dal Salone a favore degli espositori. A ciò si aggiunga che Milano ogni anno riparte grazie al Salone, i suoi servizi sono scintillanti (talvolta anche troppo, vista quanto si fanno pagare), la citta è presa d’assalto, è giovane, fresca, piena di forza. E la Milano europea che uno oggi si può solo sognare.

NuIla, sulla carta, è meglio del Salone del Mobile di Milano per dare il senso della Ripartenza, della ripresa. Ma le imprese, non tutte ovviamente, non ci stanno. La loro industria ha perso fatturato, ma decisamente meno del manifatturiero: nei primi dieci mesi del 2020 ha ceduto l’8% per cento. Poco, rispetto all’andamento generale. La casa, il mobile hanno continuato a tirare. Una fibra costa, certo, ma il governo ha già detto (lo ha fatto anche ieri Giorgetti) che ci metterà del suo. Inoltre ci sarà, si spera, il Salone di Aprile 2022 e poi non si è sicuri di quanti stranieri potranno venire.

Insomma, alcuni mobilieri in fondo stanno facendo come il mitico Marco Ranzani da Cantù, inventato da Albertino, che se ne infischia di tutto e tutti e pensa solo alla sua avvenente segretaria e al Cayenne. Per carità, occupazioni comprensibilissime.

Luti lo vuole. La Bojardi farà il suo Fuorisalone a tutti i costi. Feltrin, il capo della Confindustria del settore, è della partita. Enrico Pazzali, il boss della Fiera di Milano, insiste perché si proceda. Ma alcune grosse imprese stanno continuando a dire di no. I più espliciti sono stati il numero uno di Poltrona Frau, Dario Rinero (ma l’azienda non si chiama così e ha un sacco di marchi raccolti nel tempo), e la Polinform, ma all’ombra di queste fanciulle in fibre ci sono tanti altri che non vogliono rischiare.

Simbolo del made in Italy

Certo il rischio c’è. Ma che razza di imprenditori sono questi? Il mobile, la filiera, l’artigianato, gli innovatori, i designer, sono sani e favolosi. Alcuni imprenditori, alla seconda generazione, sono invece stanchi. Alcuni manager sono miopi. La loro storia l’hanno fatta. Hanno mille ragioni per non fare il Salone di settembre, ma dimenticano l’unica per farlo: l’amore per questo Paese che mai come in questo momento ha bisogno di loro. Le nostre imprese del settore sono più di ventimila, con cinque addetti di media, con un fatturato aggregato di 16 miliardi.

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