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Tassa sulla casa, la fregatura in 5 punti

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La parolina magica, come sempre, è “semplificazione”. Questa volta è stata usata per far passare per una novità positiva l’unificazione, con la manovra, dell’Imu e della Tasi. Dal 2020 – è stato il messaggio – anziché due imposte sugli immobili ce ne sarà solo una. Evviva. In realtà, di buone notizie per i proprietari italiani non ce ne sono. La patrimoniale sul mattone ha cambiato nome ma continuerà a pesare come prima, se non di più: 22 miliardi di euro l’anno. Dal 2012 – primo anno dopo la manovra Monti – i miliardi sono addirittura 183, con buona pace di chi farnetica della mancanza di una tassazione patrimoniale nel nostro Paese.

A parlar chiaro, del resto, è stato lo stesso Servizio Studi del Senato: “Viene prevista – si legge in uno dei dossier di approfondimento della legge di bilancio – una sola forma di prelievo patrimoniale immobiliare che ricalca, in gran parte, la disciplina Imu e, dunque, riprende l’assetto anteriore alla legge di stabilità 2014”. La benedizione dell’Imu-Monti, insomma. Con l’aggiunta di alcuni peggioramenti. Vediamo quali.

1.È stata aumentata dal 4 al 5 per mille l’aliquota “di base” per l’abitazione principale e dal 7,6 all’8,6 per mille quella per gli altri immobili.

2.Viene consentito ad alcuni Comuni (fra i quali Roma e Milano), senza alcuna giustificazione e con dubbia legittimità costituzionale, di raggiungere un’aliquota massima più alta rispetto a tutti gli altri: 11,4 per mille anziché 10,6.

3.Con l’eliminazione della Tasi è stato soppresso l’obbligo per i Comuni di individuare i “servizi indivisibili” e di indicare analiticamente, per ciascuno di essi, “i relativi costi alla cui copertura il tributo è diretto”. In sostanza, l’unica parvenza di service tax, da tutti a parole invocata, è stata eliminata anziché essere rafforzata. Era un modo, sia pur timido, per consentire ai cittadini di controllare un po’ i loro amministratori. Via anche questo.

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