Cultura, tv e spettacoli

Follie politicamente corrette

Tom Hanks peggio della lobby Lgbt: “Solo un gay può fare la parte di un gay”

L’attore star di Hollywood dice che oggi non farebbe più “Philadelphia”

tom hanks

Tom Hanks supera a sinistra il politicamente corrotto e scolpisce: oggi non potrei più fare Philadephia, perché non sono gay. “E giustamente”, precisa, casomai non fosse chiaro il messaggio. Andasse a dirlo a Ugo Tognazzi e Michel Serrault, protagonisti, ma è solo un esempio in un oceano, del Vizietto: la loro misura, delicatezza, ironia, seppe offrire uno spaccato illuminante di una dimensione, all’epoca, ancora non del tutto sdoganata. Per non dire, ma ne abbiamo già parlato, dell’incredibile, magistrale Alberto Lionello in “Un amore difficile”.

Hanks sta in pratica decretando la fine del mestiere dell’attore: se solo chi è in una certa condizione può ricoprire ruoli di una certa condizione, allora sbaracchiamo tutto. Il “vedi però che bravo, sembra davvero così”, la naturalezza con cui volar via dalla caricatura, oppure la caricatura insistita, in un prodigioso gioco che ribaltava l’ironia negli occhi miopi di chi vedeva i pregiudizi. Fine, non si può più. Ditela chiara, dite che non siete più capaci. Chi non ricorda la delicatissima versione delle tre drag queen di Patrick Swayze, Wesley Snipes e John Leguizamo (rispettivamente un bianco, un nero, un ispanico) in “A Wong Foo, grazie di tutto”? Un capolavoro di sensibilità, di empatia, che incantava, senza perdere tempo a chiedersi se fosse, non fosse, agisse, mentisse. Era il 1995 e una Drag era una Drag, altro che le assurde catalogazioni burocratiche in cui smarrirsi come in una foresta di sigle. Ma ormai non c’è più ritegno, più freno alla coglionaggine generale, quella che Federico Rampini chiama “suicidio dell’occidente”: che è diverso dal tramonto di splengleriana memoria, qui è tutto più accelerato, conformista, sciocco e in definitiva ipocrita: la cancellazione culturale dell’umanità invece di una evoluzione che si evolve lentamente, per fughe in avanti, ripensamenti, migrazioni di idee, maree, risacche intellettuali: non certo per decreto o per formula di quattro imbecilli esaltati, depositari della verità.

Hanks, l’abbiamo capito, deve difendere il suo status di celebrità hollywoodiana che non disturba nessuno, che va bene al sistema; ma che ne dice, allora, di 007 affidato ad una ragazza e di colore? Delle riletture storiche in kolossal con condottieri ed eroi stravolti nella sessualità, nell’etnia e via discorrendo? A questa stregua, lui non potrebbe più recitare da gay ma neanche da naufrago, da supereroe, da malato terminale: da Forrest Gump invece sì, quello non glielo toglie nessuno. Come la mettiamo? L’identificazione assoluta è il mestiere dell’attore o l’attore, alla fine, non fa che recitare se stesso? La domanda può suonare marzulliana, ma, se estesa ad altri campi artistici, rischia di scatenare un disastro: se non mi taglio l’orecchio non posso dipingere? Se non mi drogo abbestia non posso suonare il rock? Il glam dell’ambiguità oggi ha bisogno del greenpass erotico?  Leonardo e Michelangelo (entrambi bisessuali), geni non ripetibili, li facciamo interpretare da qualcuno o lasciamo perdere? Che facciamo, rimuoviamo pure il Gesù di Zeffirelli, per evidenti limiti mistici?

Che quella di Tom sia una puttanata da star, lo conferma il fatto che non è neppure farina del suo sacco: cinque mesi fa fu un altro divo, Benedict Cumberbatch, a “pentirsi” di avere impersonato Tutto, un transgender nella commedia di Ben Stiller “Zoolander 2”: dopo essere stato scottato dalle immancabili critiche del “mondo” lgbtambarabaccicciccoccò, pure Benedict fece marcia indietro: mai più, un ruolo così lo può fare solo chi è così”. Perché, quando rifaceva Sherlock Holmes era per caso un investigatore cocainomane? La fine del cinema, come volevasi dimostrare.

Siccome nel cinema l’ortodossia è tutto (sotto la quale si nasconde di tutto, ma transeat), è lecito aspettarsi un’orgia di autodafè attoriali, che lasceranno il tempo che troveranno ma servono a guadagnare credibilità e a pararsi le chiappe dagli attacchi. È il “capitalismo adattivo” di cui parlano gli americani: cosa vuole oggi il mercato? Mortificazioni e buoni sentimenti? Benissimo, gli diamo quelli, senza crederci sul serio, ma basta affermarli. Le star di Hollywood sono multinazionali di carne e, per l’appunto, si adattano. Curioso, però: nell’epoca del percepito, in cui ciascuno deve essere “quello che si sente”, a giorni alterni, minuto per minuto, si finisce per ribadire una barriera tra chi è e chi non è.

Sono le contraddizioni dell’ideologia spinta alle estreme conseguenze. Senza contare che, nel suo oltranzismo woke, Hanks ha compiuto in realtà un gesto di grande discriminazione: nel dire che non potrebbe più interpretare un gay, in quanto etero, ha mancato di rispetto appunto ai gay, si è definito altro, li ha esclusi, sia pure autoescludendosi. Tutto il contrario dell’inclusività, dell’autodefinizione, della fine delle etichette e delle distinzioni di genere. A questo punto, all’incauto Tom resta una sola cosa da fare: se lo tagli, così almeno potrà interpretare, a buon diritto, il ruolo dell’eunuco.

Max Del Papa, 16 giugno 2022

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