Esteri

La guerra in Ucraina

Ucraina, l’attacco dei reporter italiani: “Rientriamo, la libertà di stampa è a rischio”

Il racconto di due giornalisti, costretti ad abbandonare l’Ucraina perché considerati erroneamente filorussi

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Nel 2022, nella classifica annuale sugli indici di libertà di stampa, l’Ucraina si posizionava 102esima, ben distaccata sia dall’Italia (in netto peggioramento, scesa al 58esimo posto) che dalla gran parte dei Paesi dell’Est Europa. Qui sotto, potete notare cinque colori differenti. I Paesi in giallo hanno “problemi notevoli” di libertà di stampa”, accomunando comunque Roma e Kiev nella stessa categoria, fino ad arrivare al rosso scuro che – come evidente – racchiude Russia, Cina, Corea del Nord e buona parte degli Stati del Medio Oriente.

 

A partire dall’inizio del conflitto, le libertà di stampa e politica in Ucraina si stanno restringendo. Da una parte, il governo Zelensky ha vietato tutti i partiti filo-russi; mentre dall’altra, proprio in queste ultime settimane, ha proceduto alla sostituzione di numerosi esponenti del governo per motivi di corruzione. Tra questi, anche il ministro della Difesa Reznikov. Rimane indubbio, quindi, che la guerra abbia portato un’inesorabile torsione liberticida anche nello Stato invaso, Paese che risultava essere prossimo ad entrare nell’Ue e nella Nato, cercando di abbandonare definitivamente il peso ingombrante del vicino russo.

Eppure, questa svolta sulle libertà – in negativo – è arrivata ad interessare anche giornalisti e reporter europei. Particolare, infatti, è stato il caso di due italiani, Alfredo Bosco e Andrea Sceresini, tornati in Italia dopo che dal 6 febbraio 2023 sono stati impossibilitati a lavorare, causa il ritiro dei loro accrediti da parte delle autorità locali ucraine.

Per approfondire:

In una lettera del 25 febbraio, inviata alla loro legale Alessandra Ballerini, spiegano le motivazioni: “Dopo 19 giorni in attesa di spiegazioni ufficiali che non sono mai arrivate, abbiamo deciso di lasciare l’Ucraina. Era il 6 febbraio quando i nostri accrediti giornalistici sono stati sospesi dal ministero della Difesa di Kyiv. Da allora non abbiamo più potuto svolgere il nostro lavoro di reporter, e per ragioni di sicurezza abbiamo dovuto lasciare il Donbass alla volta di Kyiv. Abbiamo contattato più volte le autorità ucraine, che sono state sollecitate, oltre che dalla Ambasciata, anche dall’Ordine dei giornalisti, dalla Fnsi e dal nostro avvocato Alessandra Ballerini”.

Dopo numerosi solleciti, ecco che le autorità ucraine rispondono, affermando come i due reporter avrebbero dovuto sottoporsi ad un interrogatorio da parte dell’Sbu, i servizi di sicurezza di Kiev : “Per 19 giorni, come ci era stato espressamente richiesto, abbiamo atteso con pazienza questa convocazione che tuttavia non c’è mai stata. Nel frattempo le uniche voci che ci sono giunte, e che hanno iniziato a circolare abbondantemente proprio dal 6 febbraio, sono quelle che ci descrivevano come propagandisti filorussi e collaboratori del nemico. Si tratta di calunnie gravissime e pericolose, specie in zona di guerra”.

A quel punto, interviene la Farnesina: “La nostra colpa – così ci è stato detto dalla Farnesina – sarebbe quella di aver raccontato il conflitto su entrambi i fronti a partire dal 2014, realizzando inchieste e reportage (peraltro non certo in favore dei russi) anche nelle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk. Tanto sarebbe bastato a renderci automaticamente dei giornalisti nemici. Il 21 febbraio – stando a quanto ci è stato riferito dall’Ambasciata italiana – le autorità ucraine hanno persino messo il veto sulla nostra partecipazione alla conferenza stampa Meloni-Zelensky”. Ed è proprio quest’ultimo l’episodio definitivo che ha spinto i due reporter ad abbandonare il territorio ucraino per far ritorno in Italia.

I due giornalisti, comunque, concludono con un appello: “Se passerà questa linea – secondo la quale chi ha cercato di lavorare liberamente, senza fare il tifo, ma semplicemente raccontando i fatti, debba essere considerato una minaccia per l’Ucraina – allora il rischio è che il livello di libertà di stampa si abbassi sensibilmente. Tutti i giornalisti stranieri avranno davanti agli occhi il nostro precedente, e chi probabilmente avrà la meglio saranno i propagandisti e gli uffici stampa. È per evitare questa prospettiva – nella speranza che le autorità ucraine tornassero sui loro passi – che abbiamo deciso di resistere per questi 19 giorni. Oggi, alla luce di ciò che è successo, restare non avrebbe più senso. Speriamo che tutto ciò sia comunque servito a lanciare un messaggio forte, contro ogni censura e contro ogni bavaglio”.

Matteo Milanesi, 28 febbraio 2023

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