Politica

Un leader di cartone: il problema di Fini non è la casa di Montecarlo

La condanna dell’ex presidente della Camera è il capolinea di un fallimento politico. Poteva trasformare la destra, ha finito col distruggerla

fini alleanza nazionale © ภาพของWee19 tramite Canva.com

È un periodo politicamente lugubre. La campagna per le europee si articola come salendo dai cimiteri, al modo dei fuochi fatui: la sinistra riesuma l’antifascismo permanente, postumo, della buonanima di Michela Murgia, Forza Italia si ispira al creatore, morto da un anno, il che è anche comprensibile ma se un partito dopo 30 anni dalla fondazione, ancora spende l’icona del fondatore, vuol dire che qualcosa non torna, che non si trova granché di nuovo, di prospettico nell’europeismo acritico di chi la guida oggi.

Da parte sua, Giorgia Meloni va a rendere omaggio alla salma di Berlinguer, morto da 30 anni – mentre a una convention del partito, La Russa, nientemeno, orchestra la standing ovation sotto l’occhio vigile della figlia, Bianca. Cosa ha in mente Fratelli d’Italia, cosa vuole suggerire Meloni con la sua visita esibita? Oltre il dialogo, oltre la dialettica, che accende idee, le confronta, ma ne mantiene la diversità, c’è la connivenza, c’è la complicità e nella stravagante ossessione da destra per il segretario del PCI si può leggere sia un pagare pegno, come sempre, all’egemonia comunista, come a dire: sì, sappiamo che il vero potere siete voi, il potere che dura, organizzzato, gramsciano, sappiamo che il nostro potere è solo transeunte, che siamo di passaggio per cui non maltrattateci, non odiateci; ma si può anche andare oltre e sospettare qualcosa di peggio, del genere: statemi vicina, almeno voi, nella mia curiosa strategia filoeuropeista: sì, d’accordo, io parlo di un’Europa senza sinistra, ma sapete, son cose che si dicono, vanno bene per la plebe, che vota, ma vedete bene che la mia politica è la vostra, tutta bonus, rattoppi, un po’ sui giovani, un po’ sulle donne, sul Mezzogiorno eternamente affamato e eternamente improduttivo: senza coraggio di osare, senza riforme vere, la non politica delle mance e della tosatura fiscale, qui, non temete, non c’è e non ci sarà nessuna Thatcher, e tanto meno nessun Milei.

Dunque, sì, voi siete liberissimi di appendermi a testa in giù, di scatenare i vostri parassiti, le vostre comparse che mi danno della nazista dentro, della fascista eterna, ma io non ve ne voglio e voi vogliatemi bene, assistetemi, che ce n’è per tutti. Col Pnrr ce n’è per tutti. Non tanto nel senso della mangiatoia, qui non si vuole sostenere questo; se mai in un altro senso, più grave, più angosciante: noi siamo il potere, spartito, condiviso, connivente potere, noi siamo dentro e la plebe, che vota, è fuori: sì, chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori e preme disperatamente per entrare, avendo capito che è la politica, che il potere, anche minimo, anche nominale, è l’ultimo dei beni rifugio, l’ultima delle lotterie come ha capito bene anche papà Salis: che certamente difende la figlia per impulso di familismo amorale, ma anche perché ha fiutato l’affare della vita: se gira bene, abbiamo risolto tutto e, grazie alle condanne e ai deliri di Ilaria, porteremo a casa, sono conti ufficiali della burocrazia bruxellese, 3 milioni di euro in 5 anni, considerando tutte i cespiti.

In questa politica da spoon river, ma di scoglio, massicciamente compatta, dove le divisioni sono più che altro teatrali, sono pubblicitarie, riaffiora Gianfranco Fini, l’eterna promessa finita in un gorgo. Fini è incredibile: ha appena preso 2 anni e 8 mesi per i noti fatti della casa di Montecarlo, ma parla con l’arroganza del riabilitato, sembra uno che giudica lui, uno che è appena stato mandato assolto. La sua spocchia ha un che di irreale, quasi di alienato. Segno dei tempi, si potrà dire, ma un fatto è certo: Fini, a rivederlo così tremolante, invecchiato, eppure arrogante, offre la non confortante sensazione di un tracollo anzitutto politico. Chi è questo signore ormai anziano, riaffiorato dalle nebbie di un cimitero politico?

È un leader che seppe affrancarsi dall’eredità del Movimento Sociale di Almirante promettendo chissà quali svolte: ma la sua modernità si esaurì presto, subito, in una ascesa al potere, determinata però da Berlusconi: senza il quale, Fini non sarebbe mai arrivato ai fasti di governo. La sua transizione rimase lì, irrisolta, incompiuta, e ci sarebbe voluta la giovane Giorgia, un’epoca politica dopo, per portarla in qualche modo a compimento: anche se nessuno sa ancora dire dove effettivamente sia diretta Fratelli d’Italia. I quadri sono mediocri, i vecchi mandarini sono dell’epoca Prefiniana. Ne deriva uno sbando, una incertezza su tutto che si traduce da una parte nell’arroganza dei parvenu, dall’altra nel complesso d’inferiorità, nella sudditanza eterna della destra postfascista, ma non troppo, verso la sinistra postcomunista, sempre un po’ comunista.

Fini vittima di una compagna spericolata, di una famiglia disinvolta? D’accordo, ma, anzitutto, vittima di se stesso. Un leader senza un disegno, di quella vacuità, di quella pochezza che prima o dopo, ma sempre troppo presto, ti condanna. L’ex “fascista del Duemila”, arrivato il Duemila, ha abiurato, rinnegato il fascismo, ma non ha saputo sostituirlo con niente, se non con una prospettiva genericamente democratica, una scatola vuota dove poteva entrare di tutto, ma, di fatto, entrava solo l’opportunismo dei neoconvertiti. E, alla fine, la passione per molti inspiegabile, di mezza età, per una ragazza troppo giovane e forse troppo affamata. Aveva l’occasione di portare la destra altrove, da qualche parte, ma nella modernità: l’ha lasciata sfasciarsi nel mare delle sue pulsioni, giunte troppo presto per la senilità, troppo tardi per un uomo, un leader serio, responsabile, con una visione.

Ecco, si potrebbe dire che Fini nel suo mestissimo evaporare è stato l’epitome, una epitome almeno, di quella lunga stagione politica che consegnano alla Storia come Prima Repubblica. Solo che lui si è fatto fuori da solo. “Che fai, mi cacci?”. Ma a cacciarsi ha provveduto lui per primo, quella del Cavaliere spietato, del caimano famelico con gli alleati è una balla che va bene per Travaglio o per i film di Moretti, la realtà è diversa e parla di un leader di cartone, che ha tradito sia il suo passato, per discutibile che fosse, sia un futuro che era lì, nelle sue mani, ma che nessuno poi ha visto, che è stato gettato via senza una spiegazione razionale, plausibile. Fini da ultimo ha anche provato, pateticamente, a porsi come grande vecchio per la Meloni, che però non ne ha voluto sapere. Oggi guarda beffardo, quasi sprezzante, la condanna a quasi tre anni per avvilenti vicende private, capolinea di un fallimento politico, personale, esistenziale. Sprezzante, l’ex leader che non c’era, ma verso chi, se non se stesso?

Max Del Papa, 1° maggio 2024

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