Esteri

Un mese dal massacro di Hamas e il falso mito dei due Stati

Il racconto dei trenta giorni che hanno stravolto il Medio Oriente

© Foto diffusa dall'IDF, Arigatou e studiocasper tramite Canva.com

È passato un mese dal massacro a Sderot e nei kibbutz al confine con la striscia di Gaza e da allora troppi eventi si sono susseguiti. Siddhārtha diceva: “Tre cose non possono essere nascoste a lungo: la Luna, il Sole e la Verità.” Pertanto non è mai tardi per fare luce. Voglio tentare nel mio piccolo di dare un contributo e dopo aver fatto le dovute verifiche posso rettificare una notizia che fonti della sinistra hanno fatto circolare subito dopo la strage del 7 ottobre scorso e cioè che solo il trenta per cento dei ministri del governo Netanyahu aveva fatto il militare. Tipico esempio di uso strumentale di un falso creato a tavolino perché su trentasette ministri solo in tre non hanno indossato la divisa dell’esercito israeliano.

Si è trattato di una critica falsa, sicuramente ideologica, fatta anche da nomi importanti del giornalismo italiano e internazionale in un momento, per Israele e per il mondo intero, fra i più delicati dalla fine della Seconda guerra mondiale. Questi signori, non faccio nomi per non alimentare polemiche dirette che non mi interessano, hanno per esempio dimenticato che Ben Gurion, primo ministro durante la guerra di Indipendenza del 1948, Golda Meir, premier durante la guerra del Kippur del 1973 e Shimon Peres, più volte primo ministro e ministro della Difesa (fu lui ad approvare la missione ad Entebbe), non avevano fatto il militare.

Questi signori, dicevo, hanno dimenticato che fu proprio la sinistra israeliana che iniziò a criticare la presenza degli ex militari nel governo solo dopo aver perso le elezioni e quando Begin nominò Sharon ministro della Difesa. Ma si sa, alla sinistra è permesso tutto: falsare, dimenticare e spalare fango. Anche in momenti di emergenza. Anche con una guerra in corso. In questo mese ho sentito parlare tanti esperti di Medioriente e mi sono reso conto che il problema dell’informazione è una sorta di nodo gordiano a più teste dove in un capo c’è l’ideologia, nel secondo l’attenzione agli ascolti, nel terzo c’è il volere di qualcuno che deve far passare il messaggio che gli garba e nel quarto una profonda ignoranza di cosa è il Medioriente. Qui si mangia l’humus di ceci con la pita, non il raffinato sushi. Inutile sottolineare che dentro questo nodo la verità viene strangolata, garrotata.

Questi esperti, politici, giornalisti e chi più ne ha più ne metta, continuano a raccontare la barzelletta dei due popoli e due Stati nonostante questa chimera sia già naufragata da tempo, e cioè da quando Arafat dopo aver firmato i trattati di Oslo rifiutò tutte le offerte, anche quelle più assurde e Abu Mazen, fido scudiero, fece altrettanto. Rifiutarono addirittura la divisione di Gerusalemme dove avrebbero potuto avere la capitale nella parte araba, rifiutarono il benessere per il loro popolo solo per seguire il sogno di distruggere noi e la nostra nazione.

A distanza di pochi giorni dall’attentato alla sinagoga di Roma del ottobre 1982, Herbert Pagani pubblicò “Arringa per la mia terra.” Dove, fra l’altro diceva: “Io sono un palestinese di 2.000 anni fa, sono l’oppresso più vecchio del mondo, sono pronto a discutere con loro ma non a cedergli la terra che ho lavorato, tanto più che laggiù c’è posto per due popoli e per due nazioni.” Sono passati 41 anni e nulla di questo sogno si è potuto realizzare, nonostante i Nobel per la Pace, le fanfare i ricchi premi e i cotillon. E chi dà la colpa di questo a Israele è ignorante o in mala fede perché se sembra un’anatra, nuota come un’anatra e starnazza come un’anatra, allora probabilmente è un’anatra.

In troppi parlano come se il pogrom che abbiamo subito il 7 ottobre scorso sia una cosa da poco e fino ad oggi non ho sentito nessuno di questi esperti che abbia avuto il coraggio di dire quello che in Israele ormai sanno tutti e cioè che il mondo precedente al 7 ottobre 2023 non esiste più. Questo perché, repetita iuvant, ci sono state famiglie intere distrutte a sangue freddo, prese nelle case potate in strada e ammazzate sui marciapiedi in modo che tutti vedessero. Donne stuprate e sodomizzate in gruppo prima di essere fatte a pezzi davanti ai mariti e figli. Che poi sono stati legati e bruciati vivi. Per non parlare delle torture a cui è stata sottoposta una donna gravida che è stata squartata da sveglia e il feto pugnalato. Non chiedete le fonti perché di questo fatto in particolare ci sono le testimonianze di chi ha ricomposto i corpi.

Nessuno ha avuto il coraggio di dire che mentre succedeva tutto questo per le strade di Gaza si è sparsa la voce che Hamas era entrata nelle nostre città, centinaia di civili si sono riversati all’interno del territorio israeliano momentaneamente occupato e hanno fatto razzia di tutto quello che trovavano, oppure ballavano nelle strade di Gaza city al ritmo di Allah Ahbar. Gli stessi che hanno sempre festeggiato gli attentati contro di noi con caramelle e dolcetti, gli stessi che lanciavano fuochi d’artificio in aria durante i funerali delle vittime degli stessi attentati.

Tutti i governi israeliani, dal giorno della dichiarazione di indipendenza al 6 ottobre 2023, hanno cercato una soluzione al conflitto, soluzione che non c’è mai stata e mai potrà esserci fino alla venuta del Messia che porterà pace in terra agli uomini di buona volontà. Quando ho intervistato Israel Hasson, ex parlamentare ed ex numero due dello Shin Bet, che ha fatto parte di delle commissioni di trattativa di pace per gli accordi di Oslo e di Camp David, mi ha raccontato cosa è successo. Ha preso un foglietto e ha scritto: Noi vogliamo il riconoscimento del diritto all’esistenza di Israele, non il riconoscimento di Israele. Adesso scrivete voi quelle che sono le vostre richieste.” Sembra una questione da poco, invece è fondamentale perché il solo riconoscimento di Israele lascerebbe aperto il problema. Quando i rappresentanti palestinesi hanno letto “diritto all’esistenza di Israele”, hanno girato il foglietto e lo hanno rimandato indietro.

Fine della trattativa. Questo significa che per i palestinesi non è una questione territoriale e non ne fanno mistero: vogliono tutto, dal fiume Giordano al mare, senza ebrei. Un territorio Judenfrei, libero dagli ebrei o judenrein pulito dagli ebrei. Potevano avere molte, e alla fine non avranno niente. Ultima cosa: non vi fidate di Abu Mazen, ha ancora tanti nipoti da far arricchire.

Micheal Sfaradi, 7 novembre 2023

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