Scuola

Università, follia statalista: “Vietato insegnare negli atenei online”

Il caso di Padova conferma l’influenza marxista nell’istruzione italiana: lo Stato avversa concorrenza e pluralismo

Università e atenei online Padova © Photo Italia LLC, hypotekyfidler e pixelshot tramite Canva.com

L’ultima decisione del Senato accademico e del Consiglio di amministrazione dell’università di Padova la dice lunga su quanto sta succedendo nel mondo universitario italiano. In effetti, deliberando il divieto per professori e ricercatori d’assumere incarichi al fine di tenere corsi nelle università telematiche (quali professori invitati, esterni, con il compito di tenere un numero limitato di lezioni, anche gratuitamente), l’ateneo patavino ha riconosciuto che la vecchia università declinante teme sempre di più quegli atenei privati che stanno avvalendosi delle nuove tecnologie per servire al meglio il consumatore-studente.

La rettrice di Padova, Daniela Malpelli, è stata chiara: non vogliamo favorire una concorrenza crescente. Due docenti di Padova avrebbero voluto insegnare anche – come spesso avviene – in altre università; e avevano ricevuto questa proposta da atenei accreditati dal ministero, con docenti strutturati in possesso di idoneità identiche a quelle dei loro colleghi di Padova o di altri centri. Non potranno farlo: potranno insegnare magari alla Bocconi oppure a Verona (che pure si trovano in forte concorrenza con Padova, e la Bocconi è perfino privata!), ma non in questo o quell’ateneo che eroga i propri corsi on line.

Anzi, i rettori riuniti nella lobby delle università in presenza (la Crui) stanno facendo tutto il possibile per danneggiare un mondo, quello degli atenei telematici, che soltanto nel 2021 è cresciuto del 410,9%, proprio mentre gli atenei tradizionali perdevano iscritti. Ma se il mercato lancia i propri segnali, le burocrazie ovviamente si muovono in direzione opposta.

L’apparato monopolista dell’istruzione universitaria non vuole che si aprano spazi; e si comporta di conseguenza. Poco importa alle guardie rosse dello status quo il fatto che soltanto le telematiche vadano incontro alle esigenze di chi non può permettersi di spostarsi a molte decine di chilometri di distanza (lasciando Tirano per Milano, ad esempio), di chi ha 19 anni e deve lavorare per vivere ma ugualmente vuole continuare a studiare, di chi ha già un impiego da tempo ma ha l’ambizione di migliorare la propria formazione e favorire la propria carriera.

Invece di provare a capire il perché del successo di E-campus, Pegaso, Uninettuno o Mercatorum, anche per seguire quelle orme e competere su quel terreno, l’apparato di quello che nella teoria della concorrenza è chiamato “incumbent” (il vecchio monopolista) continua a nutrire nostalgia nei riguardi del passato e cerca di ostacolare in tutti i modi le imprese più in sintonia con i tempi: specie se si pensa che quanti entrano adesso in università sono “nativi digitali” e si trovano perfettamente a loro agio nella rete.

Il divieto imposto a Padova a tutti i docenti e ricercatori fa seguito alla decisione assunta qualche settimana fa dalla Crui, una libera associazione che riunisce rettori delle università, di modificare il proprio statuto al fine di non permettere l’iscrizione degli atenei telematici accreditati. La scelta è legittima, poiché ogni associazione si organizza come vuole, ma ha rappresentato un terribile autogoal da parte del sistema, dato che ora – a tutti gli effetti – la Crui rappresenta solo gli interessi delle università in presenza, per lo più di Stato. Era una lobby anche prima: ora lo ha certificato essa stessa, scrivendolo nero su bianco.

È un peccato, però, che il futuro degli studi e le prospettive della ricerca, ma soprattutto le aspirazioni di tanti nostri concittadini (giovani e no), siano penalizzati sulla base di bassi interessi di bottega. Le vecchie università sono i tassisti dell’alta educazione e sanno di esserlo. Non c’è solo questo, però. Sullo sfondo c’è anche di peggio, dato che nelle parole della professoressa Mapelli troviamo una rappresentazione dell’educazione universitaria come di un affare di Stato. Permane, anche a seguito della pesante influenza del marxismo nella storia culturale italiana, l’idea che lo Stato sia il bene e la libera imprenditoria dei privati sia un male da combattere. Il risultato è che burocrati che vivono delle risorse che lo Stato ci sottrae, usano quegli stessi mezzi economici sottratti al mercato per impedirci d’intraprendere e offrire al pubblico i servizi che esso chiede.

C’è allora bisogno di una rivoluzione radicale: come già su queste colonne ha sottolineato Marco Bassani negli scorsi giorni. E c’è la necessità che il dinamismo del nuovo mondo universitario delle telematiche – che sta producendo laureati, posti di lavoro e nuove opportunità di vario tipo – sia difeso da quanti continuano a pensare l’università secondo gli schemi di Giovanni Gentile, che è ancora in larga misura l’artefice del sistema vigenti.

In ogni epoca, i nemici della libertà accademica e del pluralismo universitario adottano il punto di vista di Napoleone Bonaparte, convinto che “bisogna, prima di tutto, arrivare all’unità: far sì che un’intera generazione possa essere gettata nella stessa forma”. È questa una visione sottilmente totalitaria, la quale attraversa come un fil rouge la storia dell’Europa moderna e che dobbiamo avversare con sempre maggior forza, se vogliamo salvaguardare la condizione prima delle nostre libertà.

Carlo Lottieri, 3 ottobre 2023

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